"I risultati saranno modesti, perché i sette Paesi che fanno parte del G7 contano sempre di meno nel mondo. In un'economia capitalistica e in un'era di globalizzazione erano inevitabili l'emergere di una potenza economica e geopolitica come la Cina, il ridimensionamento dell'Europa, il peso crescente della Russia, l'implosione in Medio Oriente e l'opposizione sempre più evidente all'America del resto del mondo, soprattutto per quei valori che non ha mai condiviso," — ha dichiarato l'analista in un'intervista con il giornale italiano "Repubblica" pubblicata oggi.
Parlando del ruolo in questo processo dell'attuale presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Bremmer ha sottolineato che "ha segnato la fine del mondo americano".
Secondo il professore, gli Stati Uniti restano favorevoli all'ingerenza negli affari di altri Paese, ma l'orizzonte dei propri interessi nazionali è sempre più piccolo.
Valutando le prospettive di azioni congiunte del G7 e dell'Occidente nel suo complesso contro il terrorismo, Bremmer ha affermato che sarà difficile attuarle nella pratica.
"Non dimentichiamo che quando Trump chiede dalla NATO di unirsi alla coalizione contro l'ISIS, contemporaneamente chiede agli alleati di pagare di più. Gli altri membri dell'Alleanza lo sanno e si oppongono. Questo è il motivo per cui Stoltenberg ha detto che la NATO può partecipare esclusivamente con un ruolo non militare. E' un altro esempio di frammentazione che non può più essere superato", — Bremmer ha detto.
Ian Bremmer è un politologo americano specializzato in politica estera statunitense e rischi politici globali. Ha fondato la società Eurasia Group, dove sotto la sua direzione lavorano Paesi. Tra i clienti spiccano ExxonMobil, Morgan Stanley e l'hedge fund Caxton.
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