Tra i tanti che lanceranno le loro interpretazioni, più o meno verosimili, anche chi scrive non vuole rinunciare a cercare le ragioni che hanno portato alla Presidenza americana un parvenu che mai era stato parlamentare e che non ha certo brillato per competenze né durante la campagna elettorale né nei dibattiti a due.
Che la Clinton avesse più esperienza è indiscutibile: moglie di un Presidente, ha visto da vicino cose e persone che sono state e sono protagoniste dei grandi eventi mondiali. Parlamentare per alcuni anni, ha conosciuto il Congresso e il Senato e partecipato in prima persona ai giochi della politica. Segretario di Stato della maggiore potenza mondiale nel primo mandato di Obama, è stata attrice, nel bene e nel male, di accadimenti internazionali con conseguenze durature per tutti i cittadini di ogni Paese del mondo. Un vero membro dell'establishment politico dominante, dunque.Trump non aveva nulla di tutto questo. Alla Casa Bianca, se mai ci è andato, fu solo ospite; il Congresso l'ha visto da fuori e gli incontri internazionali cui ha partecipato erano soltanto dovuti alla sua attività imprenditoriale e nient'altro.
Eppure, gli elettori americani, in gran numero e contro tutti i pronostici, lo hanno scelto, affidando a lui il futuro degli americani, e non solo il loro.
Non c'è da stupirsi se la maggior parte dei sondaggisti ha sbagliato le previsioni: la campagna di demonizzazione cui il Tycoon è stato sottoposto ha obbligato molti a non dichiararsi o, addirittura, a pronunciarsi con gli intervistatori a favore dell'avversaria, beniamina incontrastata di tutti i media americani ed europei. Successe la stessa cosa con la Brexit quando, anche in quel caso, il diktat comune, quello divulgato da stampa e intellettuali era per il "remain".Tra le spiegazioni offerte per il risultato, inatteso dai più, due in particolare sembrano veritieri: la netta antipatia personale suscitata da Hillary e la frustrazione della classe media (soprattutto bianca) americana per una crisi economica e di valori la cui morsa sembra essersi allentata solo per "altri". A nulla sono valse le accuse di sessismo, razzismo e xenofobia che sono state riversate su Trump. Anche un buon numero di donne, di neri e di ispanici ha votato per lui o perché hanno colto la strumentalità delle accuse o perché i "buoni sentimenti" della Clinton sono stati giudicati insinceri.
Di certo, solo una parte dei voti era "per" e il maggior numero di elettori ha votato "contro" qualcuno o qualcosa. Non si è trattato però solo di rifiutare quella candidata percepita come bugiarda e disonesta. Il motivo del "contro" è molto più profondo.
Questi fenomeni non avvengono tutti d'un colpo: il processo è lento, salvo qualche accelerata nei momenti finali. Nessuno sa quanto potrebbe durare il tempo del passaggio e quanti passi indietro avverranno prima che il meccanismo arrivi a compimento. E' ancor meno facile identificare immediatamente quali caratteristiche potrà avere la cultura che riuscirà a imporsi nel sostituire la precedente. All'inizio non potrà che apparire come una "incultura", volgare, irrazionale, perfino emblema d'ignoranza e non riuscirà a presentarsi diversamente poiché siamo ancora abituati a convivere con modi e concetti della società in cui tuttora viviamo.
Ciò che gli elettori americani hanno fatto questo 8 novembre è anche questo: dare l'input per mandare al diavolo tutto quell'establishment i cui precursori furono, una volta, anch'essi innovatori e costruttori ma che erano divenuti oramai solo ipocriti difensori dei propri interessi e del "politicamente corretto". Locuzione, quest'ultima, che significa implicitamente: le regole le facciamo noi, siamo le regole stesse, siamo la vera società e chi non sta con noi è destinato a rimanere un paria.
Il voto per Trump è dunque una domanda di cambiamento che va di là del suo programma elettorale, di là delle sue dichiarazioni sul protezionismo, di là delle intenzioni dichiarate per nuovi e diversi rapporti internazionali. Probabilmente, pochi di quelli che l'hanno votato hanno voluto veramente capire e condividere quanto diceva nei comizi. L'hanno scelto più per istinto che per razionalità. Il voto per lui è stato contemporaneamente una rabbia e una speranza, un rifiuto e un'affermazione. Con questo voto è nato un trend che, magari, non riuscirà a realizzare compiutamente il cambiamento che, inconsciamente, gli elettori gli hanno delegato ma che, comunque vada, già rappresenta una volontà di rottura col passato. Se è così, quel che è accaduto non potrà fermarsi o esaurirsi nella sola Presidenza Trump.Attenzione però! Gli USA non sono l'Italia e ciò che accade in America ha conseguenze ben maggior per tutto il resto del mondo e potrà perfino accelerare anche da noi un fenomeno già incominciato.
La disaffezione verso le classi dirigenti e le Istituzioni che si manifesta in Europa e che ha portato, per esempio, i britannici a esprimersi per la Brexit (anche questo è stato un voto contro la classe dirigente e non necessariamente contro l'Europa in sé) non si fermerà con gli inviti alla ragionevolezza o il richiamo a sacri valori. Né il futuro potrà costruirsi solo distruggendo il passato, senza una qualche proposta realmente credibile.Per quanto riguarda Trump dovremo stare a vedere di chi si circonderà, perché è dallo staff nel suo insieme che nasceranno le concrete decisioni politiche che Washington saprà prendere.
Per noi europei, invece, si tratterà di vedere chi, a medio termine, sostituirà gli attuali vertici, oramai composti solo da avanzi di un tempo che ha già intrapreso il cammino verso la sua stessa fine. Dobbiamo solo sperare che la nuova classe dirigente, sia politica che economica e sociale, sia formata da personalità con una qualche visione del futuro e che non cerchi la propria legittimazione solo all'interno di una ristretta cerchia, ma sappia dapprima identificare e poi perseguire gli interessi collettivi di tutta la società.
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