Al cuore della crisi diplomatica in Medio Oriente, dopo l'esecuzione del predicatore sciita Nimr al-Nimr in Arabia Saudita, c'è la lotta per il controllo delle risorse petrolifere, scrive il commentatore del portale "The Intercept" Jon Schwarz.
"Quasi tutti i giacimenti petroliferi nel Golfo Persico si trovano nei territori abitati a maggioranza dagli sciiti. Vale anche per l'Arabia Saudita sunnita, in cui i principali giacimenti petroliferi si trovano nelle province orientali, dove gran parte della popolazione è di credo sciita," — scrive Schwarz, riferendosi ad una mappa della regione redatta dal professor M.R. Izady della Scuola del "Comando delle operazioni speciali degli Stati Uniti" ("United States Special Operations Command" — USSOCOM).
Uno dei principali timori della famiglia reale saudita è legato al fatto che una volta che gli sciiti del Paese dichiarino l'indipendenza, prendano il controllo di tutta la produzione petrolifera e si uniscano con l'Iran sciita, ritiene il commentatore. Secondo Schwarz, questa paura si è aggravata dopo l'invasione americana del vicino Iraq nel 2003, a seguito della quale è stato spodestato il regime di Saddam Hussein della minoranza sunnita ed è salito al potere la maggioranza sciita filoiraniana.
"L'esecuzione di Nimr al-Nimr può essere in parte spiegata dal disperato desiderio dei sauditi di soffocare qualsiasi idea di indipendenza tra gli sciiti del Paese," — ritiene Schwarz.
Per lo stesso motivo l'Arabia Saudita ha contribuito ad aiutare la monarchia sunnita in Bahrain a reprimere le proteste della maggioranza sciita, ribellatasi sullo sfondo della "primavera araba" nel 2011.
Anche se l'Islam sunnita dei sauditi, secondo Schwarz, ha dimostrato il suo odio contro gli sciiti molto prima della scoperta del petrolio, oggi queste differenze sarebbero molto meno marcate se non ci fosse di mezzo l'oro nero.
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