L’esperimento del periodo natalizio, lanciato dal governo, ha avuto un grande successo, registrando la partecipazione di quasi 9,3 milioni di cittadini, che hanno scaricato l’apposita app Io, e di 7,6 milioni di strumenti di pagamento attivati per 63 milioni di transazioni elettroniche. Al 31 dicembre, chi ha fatto almeno10 acquisti pagando con carte elettroniche, dovrebbe ricevere indietro il 10% di quanto pagato, per un massimo di 150 euro, con accredito diretto sul proprio Iban bancario. 3,2 milioni di cittadini hanno raggiunto le 10 transazioni minime per un totale di 222,6 milioni di euro di rimborsi da erogare.
Il governo aveva anche decretato che dall’inizio del 2021 sarebbero partiti tre cashback semestrali. Per ciascun periodo, con almeno 50 pagamenti elettronici, si avrà diritto a un rimborso, sempre non superiore a 150 euro.
Il piano prevede anche dei premi di ben 1.500 euro a semestre per i 100.000 cittadini che avranno fatto più pagamenti elettronici. Bisogna anche aggiungere la cosiddetta lotteria degli scontrini che metterà in palio premi settimanali da 25.000 euro, mensili da 100.000 euro e un super premio annuale di 5 milioni di euro per chi ha fatto pagamenti senza contanti.
Se, da una parte, l’operazione cashback dovrebbe favorire comportamenti più virtuosi, dall’altra parte il gioco a premi starebbe anche provocando degli atteggiamenti meno positivi. Per esempio, alcune persone sarebbero impegnate a fare tantissimi pagamenti elettronici anche di pochi centesimi, andando avanti e indietro per negozi e supermercati comprando una volta lo zucchero, un’altra il caffè, un’altra ancora un kg di pasta, un pezzo di formaggio e così via. Con più pagamenti elettronici e con più scontrini si aumenta la probabilità di vincere i premi.
Il costo dell’intera operazione cashback è di oltre 4,5 miliardi di euro in due anni. Sono soldi pubblici spesi in gran parte per un gioco a premi. Ciò potrebbe sollevare più di qualche dubbio sul suo aspetto etico. Sembra sia in discussione una possibile modifica dell’operazione, che per il 2022 costerebbe 3 miliardi di euro. Dall’altra parte, però, vi sono stati degli esperimenti, come quello del Portogallo, che nel 2014 ha introdotto delle misure simili alle nostre, arrivando a dimezzare l’Iva evasa. Se replicato in Italia, sarebbe indubbiamente un grande successo.
Anche la modernizzazione digitale è una sfida ineludibile, se l’Italia intende stare al passo con l’avanzamento tecnologico e con la competizione globale. Secondo uno studio della Bce, nel 2019 l’Italia era al 24 .mo posto su 27 paesi Ue, per quanto riguarda l’uso di carte di pagamento: 77 transazioni pro capite all’anno contro, in media, le 370 dei paesi del Nord Europa. Sarebbe stata superata anche dalla Grecia. Secondo altri studi, in Italia nel 2019 la metà del valore dei consumi sarebbe stata ancora realizzata in contanti.
Nel 2020 il Covid e i lockdown hanno invogliato, o costretto, molti cittadini a operare con transazioni digitali. Anche Banca d’Italia ha registrato che i pagamenti e-commerce sono cresciuti dal 25 al 40% durante la quarantena. Da alcuni sondaggi risulterebbe che almeno il 21% degli intervistati avrebbe rinunciato all’uso del contante e una percentuale maggiore avrebbe aumentato l’uso di carte di pagamento. Infatti, nel 2020 nonostante un calo dei consumi, i pagamenti digitali sono stati pari a 268 miliardi di euro, circa un terzo del totale. Vi sono state 5,2 miliardi di transazioni.
L’obiettivo è di far ripartire gli acquisti presso i negozi di prossimità che hanno sofferto per il lockdown, spesso rimpiazzati anche dall’e-commerce dominato da multinazionali come Amazon. Grandi imprese che finora sono anche riuscite a evitare di pagare le tasse dovute ai Paesi dove hanno operato e lautamente guadagnato.
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