Allinearsi o pagarne le conseguenze. Il messaggio in arrivo da Washington è chiaro. Italia e Germania devono rimettersi in riga e seguire le nuove coordinate dell’Atlantismo disegnate dall’amministrazione di Joe Biden. A metter le carte sul tavolo ci ha pensato il Segretario di Stato Anthony Blinken. Nel corso della visita al quartier generale della Nato a Bruxelles il responsabile della politica estera statunitense ha richiamato all’ordine sia l’Italia, colpevole di essersi incautamente incamminata sulla Nuova Via della Seta, sia la Germania decisa a portar a termine nonostante i “no” americani quel gasdotto “Nord Stream 2” capace di garantirle il raddoppio delle forniture di gas russo.
Pur usando toni diversi e premettendo che “gli Usa non costringeranno gli alleati a scegliere tra noi o loro sulla Cina” - Blinken lascia pochi spazi di manovra a l’Italia e Germania. Per il Segretario di Stato Usa “non c'è dubbio che il comportamento coercitivo di Pechino minacci la nostra sicurezza e prosperità”. Per questo la collaborazione con Dragone dovrà necessariamente limitarsi a settori non strategici come il “cambiamento climatico e la sicurezza sanitaria”.
Ancor più drastico il messaggio rivolto a Berlino e ad una Cancelliera Merkel contraria fin qui a prendere in considerazione una rinuncia al Nord Stream 2. “Ho chiarito che che tutte le aziende coinvolte nel gasdotto rischiano le sanzioni americane. Il gasdotto divide l’Europa, espone l’Ucraina e l’Europa Centrale alla manipolazione e alla coercizione russa e va contro gli obbiettivi energetici esposti dalla stessa Europa”, ha sottolineato Blinken durante una conferenza stampa in cui ha spiegato di averne già parlato con il Ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas.
Il doppio tono di Blinken apparentemente disponibile a confrontarsi con Roma, ma assai più categorico con l’esecutivo guidato dalla Cancelliera rispecchia le diverse posizioni di Roma e Berlino. Mario Draghi sin dal discorso d’investitura ha sottolineato l’intenzione di guidare un esecutivo “convintamente europeista e atlantista, in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia”. Sulla base di quelle parole l’Amministrazione Biden si è convinta che non sarà difficile ottenere dall’Italia un’adesione solo parziale al Memorandum sulla “Nuova Via della Seta” firmato nel marzo 2019 su spinta dei Cinque Stelle e dall’allora premier Giuseppe Conte. Una firma osteggiata, al tempo, non solo da Forza Italia e dal Pd, allora all’opposizione e oggi partner chiave dell’esecutivo Draghi, ma anche da Giancarlo Giorgetti, l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che oggi oltre ad occupare la poltrona di ministro dello Sviluppo Economia è anche il garante chiave dell’appoggio leghista al governo.
Dunque un progressivo disimpegno dal Memorandum sulla Via della Seta firmato due anni fa sembra già nelle corde del governo italiano. E a contrastarlo non ci penseranno di certo né il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, né quel che resta del Movimento 5 Stelle. Pur di mantenere il posto alla Farnesina l’ex-capo politico del M5S ha volentieri rinunciato, come la maggior parte parte dei grillini passati con Draghi, alle aperture alla Cina. E lo dimostra il sostanziale silenzio con cui sia Di Maio, sia i suoi hanno accolto il piano per l’Italia digitale presentato al Senato da Vittorio Colao.
Una presentazione durante la quale il ministro per l’Innovazione tecnologica ha bruscamente preso le distanze sia da Huawei, sia da altri eventuali partner cinesi sottolineando che “la transizione digitale come strategia industriale e geostrategica competitiva” dell’Italia dovrà essere “chiaramente europea e atlantica”. Anche i possibili investimenti cinesi nel porto di Trieste - altro grande progetto assai discusso nei giorni della firma del Memorandum - sembra definitivamente tramontato. Ad affondarlo ha contribuito non poco l’iniziativa del Dipartimento di Stato, che l’agosto scorso sanzionò la Cccc (China Communications and Construction Company) ovvero la compagnia pubblica cinese con cui l’Autorità portuale di Trieste aveva, a suo tempo, firmato le prime intese. Una mossa giustificata con il coinvolgimento della Cccc nella costruzione degli atolli e delle infrastrutture militari con cui Pechino cerca di ampliare il controllo del sud del Pacifico.
L’Italia, complici gli avvertimenti di Washington e la declinante parabola dei Cinque Stelle, sembra quindi già disponibile a prender le distanze dal Dragone. E questo spiega i toni concilianti di un Blinken convinto che per rimetter in riga l’alleato basti una buona dose di carote. Il bastone delle sanzioni potrebbe rivelarsi indispensabile, invece, per piegare la Cancelliera Angela Merkel e gran parte della coalizione di governo tedesca poco disponibile a rinunciare al progetto del Nord Stream 2. Al centro della disputa ci sono interessi geopolitici ed economici ben superiori agli 11 miliardi di euro, in parte già spesi, che rappresentano il costo finale del progetto. Completando la posa sul fondo del Baltico dei 2 mila 866 chilometri di condutture il consorzio Nord Stream Ag, guidato dall’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, raddoppierebbe i 55 miliardi di metri cubici di gas russo trasportati ogni anno dal Nord Stream 1, garantirebbe nuove entrate a Mosca e metterebbe definitivamente fuori gioco l’Ucraina.
Ma spingere lo scontro fino a quelle conseguenze significherebbe riaprire lo scontro con la Germania e allargare quella frattura con l’Europa che proprio Joe Biden aveva giurato di voler ricomporre.
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