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Abbandonato dall’Europa, fiaccato dalle picconate di Matteo Renzi, costretto ad una verifica che si è tramutata in una pubblica esecuzione il Presidente del Consiglio era una vittima designata fin dall’inizio della crisi. Ma al pari di un coniuge tradito era l’unico a non averlo ancora capito.
Capiamoci bene, la caduta del governo di Giuseppe Conte non merita mezza lacrima. E, tantomeno, la messa gioco fuori gioco, si spera definitiva, del Movimento 5 Stelle e dei suoi ministri. Ma visto che nelle segrete stanze di Bruxelles il voto degli italiani è equiparato ad un’inammissibile sciagura un esecutivo guidato da Mario Draghi è probabilmente il male minore per un paese martoriato dalla pandemia e piegato dalla crisi economica.
Nella pantomima andata in scena dopo l’uscita dal governo, il 13 gennaio scorso, dei ministri di “Italia Viva” qualcosa però non convince. A rileggerne i capitoli con il senno di poi si ha la distinta sensazione di qualcosa di già previsto. A partire dalle mosse del grande protagonista di questa “cronaca di una caduta annunciata”, quel Matteo Renzi a cui - come ad un buffone di corte insolente e detestato, ma sempre tollerato - è stato permesso di dire e fare tutto e il contrario di tutto. Pensateci bene. A dar retta ai sondaggi il senatore di Rignano guida un partito che nella migliore delle ipotesi arriverebbe al due e mezzo per cento condannando alla disoccupazione gran parte della sua attuale compagine parlamentare. In un simile scenario un leader considerato inaffidabile, pericoloso e sleale dalla maggior parte dei propri colleghi - e probabilmente degli italiani - sceglierebbe di starsene ben cheto evitando rischiose derive verso il precipizio del voto.
Invece Renzi fa esattamente l’opposto. E nel sacro furore della rottamazione arriva a sfidare persino il più incrollabile principio di stabilità parlamentare ovvero l’interesse di onorevoli e senatori a conservare la poltrona fino alla scadenza del mandato. Ma non solo. Nel mezzo di una crisi in cui è accusato di trascinare il paese alla deriva si permette il lusso di elogiare a pagamento il principe saudita Mohammed Bin Salman parlando di “rinascimento” saudita in un paese dove vige la decapitazione, dove i diritti delle donne sono calpestati e dove dissidenti rischiano la testa. E non pago arriva a definire “grande” un sovrano accusato di aver ordinato l’eliminazione del giornalista Jamal Khashoggi. Il tutto senza che nessuno si chieda come un protagonista delle più insondabili trame politiche italiane sia a libro paga di una fondazione gestita dal sovrano di una nazione straniera.
Ma a stupire ancor più del rottamatore impunito è, forse, la comparsa e la scomparsa a comando dei cosiddetti “responsabili” altrimenti detti “costruttori”. I sostenitori della poltrona ad oltranza sono da sempre i protagonisti delle crisi di governo italiane. E non a caso contano tra le proprie fila voltagabbana del calibro di Bruno Tabacci o Renata Polverini, capaci di sopravvivere ad ogni sommovimento politico. Stavolta però l’infallibile pattuglia dei costruttori frana ai primi colpi di cazzuola. Gridare al complotto senza prove è sempre sbagliato. Ma è sicuramente stupefacente come questi autentici “highlander” della politica, capaci di avvertire i più impercettibili suggerimenti e adattarsi ai più impensabili sconvolgimenti, capiscano improvvisamente che la diga costruita intorno a Conte sia opera non solo vana, ma anche pericolosa.
Guarda caso l’intuizione, seguita dall’immediato afflosciarsi di ogni desiderio di stabilità, arriva non appena il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Valdis Dombrovskis fa capire che l’Europa è la prima a non fidarsi delle capacità di Conte e compagnia. Proprio in quelle ore Dombrovskis ricorda infatti che "l'Italia è di gran lunga il maggior destinatario dei fondi" del Recovery Fund e per questo è "molto importante" assicurarsi che questi fondi "inizino a fluire nell'economia" per avere una "ripresa" del Paese.
Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)
Le parole sembrano il corollario delle picconate già inferte da Renzi e vengono interpretate come la definitiva e inappellabile condanna di un esecutivo considerato inadeguato a disegnare il programma del Recovery. A quel punto insomma “era già tutto scritto”. Conte in verità sembra realizzarlo solo quando il presidente Sergio Mattarella convoca Mario Draghi. Ma si sa il coniuge tradito è sempre l’ultimo a saperlo. Intorno a lui tutti invece sembrano averlo percepito con largo anticipo. A partire dai “responsabili” fino a quegli avversari come Silvio Berlusconi e Matteo Salvini pronti a salire sul vagone di un esecutivo di unità nazionale. Ed il primo ad averlo intuito potrebbe esser stato quel Presidente Mattarella che svanita l’opzione “costruttori” ha subito accettato le dimissioni del Presidente del Consiglio affidando però la prima verifica al presidente della Camera Roberto Fico.
Una verifica tramutatasi in pubblica esecuzione. Il tutto per la gioia di un Renzi che dopo aver torturato la vittima gli ha inferto il colpo di grazia tra la soddisfazione generale. Una soddisfazione accompagnata, come in ogni commedia europea, dalla fantasmagorica risalita dei mercati e dalla caduta dello “spread”. E ovvio tutte queste sono solo vergognose supposizioni perché i mercati - come pure i Presidenti - sono - per definizione - assolutamente indipendenti. Ma come ripeteva Giulio Andreotti - che un po’ ne capiva - “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.
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