L’inizio è stata una tragedia.
La conclusione rischia di rivelarsi una farsa.
Per capire quanto sia improbabile una consegna all’Italia dei responsabili della morte di Giulio Regeni, auspicata dal premier Giuseppe Conte e da alcuni esponenti di governo bastano le dichiarazioni rese da Emmanuel Macron al termine dei colloqui di ieri con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.
“Le questioni dei diritti umani non possono condizionare quelle della difesa e della cooperazione economica, una politica del dialogo - ha ricordato Macron - è più efficace di un boicottaggio che ridurrebbe l’efficacia di un alleato nella lotta al terrorismo”.
Insomma per Macron affari e lotta al terrore sono ben più importanti dei diritti umani.
Per questo la Francia è pronta a dimenticare, nel nome del fatturato, i 60mila oppositori sepolti in carcere e ad ignorare la campagna lanciata dalla connazionale Celine Lebrun per la liberazione del marito e attivista Ramy Shaath.
E se l’Italia seguisse i consigli di quanti nel Pd e fra i Cinque Stelle pretendono di rompere con Al Sisi la Francia ci metterebbe un attimo a subentrare all’Italia sia nelle commesse militari, sia negli interessi energetici gestiti dall’Eni. E lo stesso farebbero Stati Uniti, Germania, Inghilterra assieme ad altri apparenti alleati. Anche perchè, aldilà dei grandi discorsi sui diritti umani, l’Egitto di Al Sisi rappresenta oggi uno dei pochi elementi di stabilità sul fronte Mediorientale.
Un elemento di stabilità a cui non potrà rinunciare, nonostante le enunciazioni sui diritti umani, neppure il presidente statunitense Joe Biden
Con queste premesse vien da chiedersi dove possa portarci il rinvio a giudizio di cinque ufficiali della National Security egiziana indicati dalla Procura di Roma come responsabili della morte di Regeni.
Il generale Tareq, i colonnelli Helmy e Kamal, il maggiore Magdi Sharif e l’agente Najem, individuati nel corso delle indagini, saranno i principali imputati di un processo che si avvarrà della collaborazione di due testimoni fin qui segreti, ma pronti, si dice, a confermare di aver visto Giulio Regeni all’interno di due diverse caserme utilizzate dai servizi segreti del Cairo.
Sulla base di ciò due settimane fa il nostro Presidente del Consiglio ha chiamato il presidente Al Sisi annunciandogli l’apertura del processo in grado di provare le responsabilità dei suoi servizi di sicurezza.
Ma la telefonata piegherà veramente Al Sisi inducendolo, come fa capire il premier, a considerare la consegna dei sospetti aguzzini?
A rigor di logica c’è da dubitarne.
Consegnando ai giudici italiani i responsabili della morte di Regeni Al Sisi rischierebbe soltanto di trasformarli in rei confessi pronti a coinvolgerlo.
Per non parlare della possibile reazione di un’ apparato di sicurezza che sentendosi abbandonato potrebbe a sua volta tradire mettendo a rischio la sopravviemza fisica e politica dello stesso Al Sisi.
Dunque c’è veramente da chiedersi se il presunto atto di forza di Conte non sia piuttosto una velleità. Anche perchè - come sa bene un premier che prima di salire a Palazzo Chigi insegnava Diritto - una giustizia incapace di far scontare ad un imputato la pena comminatagli è una giustizia teorica e inconcludente.
Per non parlare del rischio che le accuse ai cinque funzionari si rivelino, nell’ambito del processo, non dimostrabili.
Un’eventualità non improbabile in un processo dove molte delle prove raccolte da Carabinieri del Ros e poliziotti dello Servizio Centrale Operativo sono in verità notizie d’intelligence ottenute con la collaborazione dei servizi segreti per vie non ufficiali o non rivelabili.
E un’altra incognita riguarda i due testimoni chiave. Ad oggi non si sa se si tratti di dissidenti arrestati assieme a Regeni e trasferiti con lui da una caserma all’altra o di fuoriusciti dell’intelligence riparati all’estero dopo il 2016.
A Giulio💛#Siddharta#GiulioRegeni #HermannHesse#veritaperGiulioRegeni pic.twitter.com/KUYARYXWWD
— Verità Per Giulio (@GiulioSiamoNoi) December 4, 2020
Di certo la loro identità diventerà pubblica all’indomani del rinvio a giudizio, subito dopo la consegna degli incartamenti processuali agli avvocati indicati dal governo egiziano o nominati d’ufficio.
Da quel momento i due saranno esposti, assieme ai loro famigliari, al rischio di vendette, ricatti e accuse diffamatorie in grado di comprometterne sia la credibilità, sia la disponibilità a confermare le accuse rese nell’istruttoria.
E in quello stesso momento la giustizia promessa da Conte non sarà più una certezza, ma un inconcludente atto di fede.
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