La nuova guerra tra Armenia e Azerbajan covava sotto le ceneri. Attendeva soltanto la scintilla capace di riportarla in superfice. Ad accenderla ci han pensato gli azeri. Non è stata una grande sorpresa. La rabbia e la voglia di rivalsa di Baku montava da mesi . “Paradossalmente il presidente Ilham Aliyev - spiega una fonte diplomatica da Baku - si aspettava molto di più dal premier armeno Nikol Pashinyan e dalla dirigenza andata al potere dopo la cosiddetta “rivoluzione di velluto” del 2018. A differenza del cosiddetto “Karabakh clan” che l’aveva preceduto nè il primo ministro armeno, nè i suoi collaboratori sono originari della regione secessionista e venivano considerati più disponibili a qualche apertura”. Aspettative andate in fumo lo scorso maggio quando Pashinyan in visita a Sushi, la città del Nagorno Karabakh abitata un tempo da tanti azeri costretti alla fuga dopo il 1994, ricordo che “l’Artsakh (termine con cui Erevan definisce la regione) è armeno. Punto”. Per gli azeri quel discorso equivale alla fine di qualsiasi trattativa. Da quel momento l’Azerbaijan non fa altro che preparare il terreno per un nuovo intervento capace di sanare la ferita del cessate il fuoco del 1994 quando, dopo sei anni di duri e sanguinosi combattimenti, dovette rinunciare ad una regione del Nagorno Karabakh abitata da oltre 600mila azeri.
Dalle dichiarazioni di Aliyev, pronto a definire “senza senso” la continuazione dei negoziati, si arriva in breve ai violenti scontri di confine accesisi il 12 luglio scorso e costati la vita a una ventina fra militari e civili. Anche in quel caso il cessate il fuoco è tutt’altro che definitivo. Dopo quegli scontri il presidente Aliyev deve fare i conti con la voglia di rivalsa dei suoi generali che in quei giorni di guerra hanno sepolto un pari grado dilaniato dai colpi dell’artiglieria armena. Ma a gettar benzina sul fuoco ci pensa anche la moglie di Pashinyan. La signora Anna Hakobyan dal 25 al 31 agosto partecipa ad un programma di addestramento delle donne armene organizzato sui territori del Nagorno Karabakh. E durante quei sei giorni di corso è ben attenta a farsi fotografare in mimetica e kalashnikov in pugno mentre visita le posizioni in prima linea, finge di sparare al nemico e stringe la mano al presidente della regione secessionista Arayik Harutyunyan.Ma quel che più preoccupa a livello internazionale è l’apparente determinazione di Baku a continuare l’offensiva fino a quando non potrà vantare un risultato capace di soddisfare i propri generali. Di certo i sette villaggi occupati nel primo fine settimana di combattimenti non bastano né a sanare l’orgoglio militare azero, nè a far demordere una leadership armena a cui non è certo permesso esibire un volto più debole e arrendevole dei propri predecessori. Per questo la guerra rischia stavolta di non finire troppo presto e costare molte altre vite.
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