Prima se lo rubava l’Isis, ora se lo vuole mettere in tasca l’America di Donald Trump. E’ il singolare destino del petrolio e del gas siriano che la Casa Bianca intende controllare anche dopo la sconfitta dello Stato Islamico e la morte del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Proprio per questo Trump sta rispedendo in Siria gran parte dei mille soldati americani ritirati, con la promessa di riportarli a casa, alla vigilia all’offensiva della Turchia contro i curdi . Il tutto sotto gli occhi di una comunità internazionale pronta, se non a legittimare, ad accettare la sottrazione di una risorsa siriana. Il presidente Usa è il primo a confermare la volontà di non restituire a Damasco i giacimenti della provincia di Deir El Zour da cui proviene il 75 per cento d’una produzione di greggio che prima della guerra superava i 400mila barili al giorno.
“Ci teniamo il petrolio tenetelo bene a mente. Vogliamo tenerci il petrolio. Quarantacinque milioni al mese? Bene allora teniamo il petrolio”. Con queste parole, poco articolate nella forma, ma chiare nella sostanza Trump ha spiegato, il 28 ottobre scorso, la decisione di rimandare in Siria 900 dei mille soldati che 20 giorni prima giurava di voler riportare a casa.
“La ragione fondamentale per garantire la sicurezza di quei pozzi – ha subito aggiunto il Capo di Stato Maggiore americano generale Mark Milley – è negarne l’accesso all’Isis in maniera da prevenirne una possibile risurrezione”. Una motivazione perlomeno controversa all’indomani dell’operazione conclusasi con la morte di Al Baghadi. Quel raid dimostra infatti come persino il leader dell’Isis avesse abbandonato le provincie orientali della Siria sotto la pressione di curdi e forze speciali americane. Ma a rendere ancora più anomalo il rientro delle forze Usa è il dispiegamento di alcune unità di carri armati e mezzi blindati Bradley nella zona dei pozzi.
L’inedito dispiegamento fa intendere come l’unico obbiettivo della presenza americana non sia più prevenire il ritorno dell’Isis, ma piuttosto bloccare eventuali tentativi russo di garantire la restituzione dei pozzi al regime di Damasco. Il presidente americano fa anche capire, del resto, che i proventi della vendita sul mercato internazionale del gas e del petrolio siriano potranno venir usati non solo per compensare le spese della campagna contro l’Isis, ma anche per garantire nuovi proventi alle compagnie petrolifere americana.
L’invio di truppe in Siria venne giustificato da Obama utilizzando quell’ “Autorizzazione all’uso della forza militare” concessa dal Congresso dopo l’11 settembre per colpire al Qaida e tutti i suoi associati. Ma se come sostiene Trump l’Isis è stato sconfitto al 100 per cento cosa giustifica il mantenimento delle truppe? Il rischio di un corto circuito politico sul fronte interno è poca cosa, però, rispetto al rischio di un’accusa per crimini di guerra basata su quell’articolo 33 della Convenzione di Ginevra che vieta l’appropriazione di risorse provenienti da territori occupati. Un articolo basato, peraltro, sulle posizioni sostenute dagli Stati Uniti in quel processo di Norimberga che vide la condanna all’ergastolo del ministro dell’economia del Terzo Reich Walther Funk accusato, tra l’altro, di aver autorizzato le razzie di petrolio nei depositi dell’Est Europa occupati dai nazisti.
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