L’ultimo infortunio in ordine di tempo — ma ormai clamorosamente evidente — si sta verificando in connessione con l’aggressione turca contro i curdi siriani, che è al contempo una ennesima aggressione indiretta contro la Siria di Bashar el Assad. Si dà il caso che lo stonato acuto baritonale di Erdogan si è verificato in coincidenza con la decisione di Donald Trump di ritirare tutte le sue truppe dal campo della contesa. Decisione accompagnata da un ripudio pubblico, netto, inequivocabile, irredimibile, di tutta la politica medio-orientale degli Stati Uniti nel corso di ben quattro tornate presidenziali: due di George Bush junior, due di Barack Obama. “Ci abbiamo buttato 8 trilioni di dollari”, ha detto il Presidente degli USA. “Che ci stiamo a fare laggiù? Voglio riportare a casa i nostri ragazzi!”.
I ragazzi a stelle e striscie a casa non sono ancora tornati. Qualcuno — come aspettando un ripensamento o qualche evento non meno drammatico — ha deciso che è meglio acquartierarli in Iraq. Un Iraq che è una pentola piena di vapore surriscaldato. Non è chiaro chi ha deciso, ma è chiaro che l’America della “guerra infinita” non c’è più.
Ma torniamo al tema. L’Occidente intero assiste allibito a una serie di scossoni incomprensibili. A cominciare da una Gran Bretagna in pieno collasso istituzionale. Da una Europa impiccata al palo di Acquisgrana, immobile, squassata da una crisi politica e morale che non è in grado di dominare e che non sa più a che santo votarsi, perché il “santo” che la guidava fino a ieri non è più al comando del mondo e un altro santo non è all’orizzonte.
Cosa sta accadendo? Che l’America non c’è più. Per meglio dire: gli Stati Uniti d’America sono talmente divisi da far pensare a una specie di guerra civile imminente, a un colpo di stato incombente. L’Impero americano, che ha dominato il Pianeta per gran parte del XX secolo, non è più un impero. E non solo perché è apparsa la Cina, che con la sua sola presenza dimostra che gli ordini dell’Impero non sono più vincolanti per essa, e quindi non lo sono più per nessuno. Ma c’è anche la Russia, che non è stata dominata e che si erge, in questo momento, come un ostacolo insormontabile — per la sua potenza militare e per la sua sagacia tattica.
Lo strapotere militare, che ha garantito il dominio statunitense sul mondo intero a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, è scosso in modo irrimediabile. Le immagini dei soldati del Cremlino che entrano nelle basi abbandonate nel disordine dell’esercito statunitense, e che circolano sul web, sono l’epifania di questo cambiamento. E preludono a mutamenti profondi del sistema economico dominante del neo-liberismo più sfrenato.
Il patto tra Deng Xiao Ping e le grandi corporations americane, quello che ha trasformato la Cina in “fabbrica del mondo”, sta finendo. E la Cina, invece di essere fagocitata del mercato mondiale — come i teorici della “fine della storia” avevano previsto — sta modificando il mercato mondiale e costringe gli stessi Stati Uniti a tornare ad essere “produttori di beni e servizi” dopo essere stati per settant’anni esportatori di dollari.Se il governatore della Banca d’Inghilterra, Carney, va a parlare si banchieri della Federal Reserve, annunciando la necessità di un nuovo paniere internazionale di monete in cui il Ren Min bi abbia finalmente il ruolo che gli compete, insieme al ridimensionamento del dollaro, ciò significa che si sta aprendo una nuova era.
Il tutto mentre proteste popolari dilagano simultaneamente in decine di paesi: sia quelli del mondo occidentale, sia quelli meno sviluppati. Le rivendicazioni popolari sono le più diverse, ma s’intravvede sullo sfondo l’insostenibilità della distribuzione planetaria attuale delle risorse: troppi i poveri e i nuovi poveri, troppo pochi i ricchi smisuratamente ricchi.
La stabilità dell’Occidente era fondata su un vasto ceto medio che fungeva da ammortizzatore sociale. Ora i ceti medi dell’Occidente stanno scivolando verso l’indigenza. L’Occidente sembra destinato ad affrontare la resa dei conti, creata in primo luogo dal suo egoismo e dalla sua prepotenza, proprio mentre si manifestano profonde incrinature nel suo stesso tessuto sociale.
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