Patria e nazione sono concetti che in Italia si prestano a diverse interpretazioni, spesso a prevalere infatti è l’attaccamento alla propria città e non al Paese. Il patriottismo, alla pari del nazionalismo, assume spesso e volentieri connotazioni negative.
Se a casa non si usa parlare bene dell’Italia, è all’estero che nel cuore degli emigrati rinasce il sentimento di italianità o, se vogliamo, di patriottismo. È difficile non amare l’Italia, soprattutto quando tutto il mondo ne canta la bellezza e le eccellenze. Perché è così difficile definirsi patrioti in Italia? Sputnik Italia ha raggiunto per un’intervista Marco Gervasoni, professore di storia contemporanea all’Università degli Studi del Molise e all’Università Luiss Guido Carli di Roma.
- Professore Gervasoni, partiamo dalla terminologia. Qual è la sostanziale differenza fra nazionalismo e patriottismo?
- Possiamo dire quindi che nazionalismo non è un termine di per sé negativo, ma dipende tutto dal contesto?
-Secondo me “nazione” non è un termine negativo e neanche “nazionalismo”. Secondo una vulgata degli ultimi anni invece il termine “nazionalismo” ha una connotazione negativa, perché gli viene dato un significato, che in realtà non possiede. Secondo alcuni rivendicare l’interesse nazionale, l’importanza del proprio Paese è un atto di prepotenza nei confronti delle altre nazioni. Questo non è così, il nazionalista può amare il proprio Paese e al tempo stesso essere rispettoso nei confronti degli altri.
- Perché in Italia non va per niente di moda definirsi patrioti?
- Innanzitutto è un problema di carattere storico. Il fascismo si era presentato come un movimento per eccellenza della grandezza della nazione; ovviamente il crollo del fascismo, avvenuto con la sconfitta del Paese in guerra, ha fatto sì che i termini “nazione” e “patria” fossero considerati qualcosa di cui vergognarsi.
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso gli italiani hanno ricominciato ad usare il termine “patria”. Negli anni più recenti, in Italia, ma anche in altri Paesi, si è diffusa l’ideologia della globalizzazione, per cui la nazione e la patria sarebbero morte. Chi rivendica la patria viene considerato quindi un nostalgico, che per l’ideologia globalista è un peccato mortale, e anche un po’rozzo dal punto di vista intellettuale. Dal 2016 c’è stata la smentita dell’ideologia globalista con la Brexit, la vittoria di Trump, Orban, la Polonia e, ovviamente, Putin che rappresentano l’opposto di tale ideologia. Oggi quindi si demonizzano queste diverse realtà.
- In Italia però esiste un altro tipo di patriottismo, non quello per la nazione, ma quello per la propria città, no?
In certi momenti drammatici, in cui il Paese ha rischiato veramente molto, è riemerso il senso di patria: la prima guerra mondiale, conflitto che l’Italia vinse nonostante le grandi difficoltà, l’uscita dalla seconda guerra mondiale con il Paese diviso in due e alla fine gli anni ’70 con il terrorismo.
- Tornando ai giorni nostri potremmo citare anche gli italiani che partono per l’estero e riscoprono da lontano la propria italianità e l’appartenenza alla patria?
- L’emigrazione italiana è un fatto interessante. Gli emigrati italiani hanno sempre conservato, rispetto ad altri tipi di emigrazione, un forte legame con l’idea di Italia. Si sentivano napoletani e quindi italiani, siciliani e quindi italiani. Qui i due aspetti di patriottismo non erano in contraddizione uno con l’altro.L’emigrazione italiana andava veramente dappertutto, è possibile trovare emigrati e figli di emigrati italiani in tutte le zone del pianeta, con una maggiore concentrazione ovviamente in Nord America e Sud America. Il sentimento degli emigrati è effettivamente più evidente, il patriottismo di chi resta in Italia è comunque forte, anche se si percepisce di meno.
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