Le difficoltà aumentano quando si è in presenza di attacchi complessi come quelli che hanno insanguinato lo Sri Lanka il 21 aprile scorso, giorno di Pasqua.
È bene muovere dalla ricognizione dei fatti, tenendo presente la circostanza che le ricostruzioni sono ancora sommarie ed imprecise.
Un gruppo di attentatori suicidi ha colpito sei o sette siti in tre distinte città srilankesi, provocando la morte di circa trecento persone ed il ferimento di almeno altre cinquecento. In massima parte, le vittime erano cristiani intenti a celebrare la massima festività della loro fede. Ma ha perso la vita anche una quarantina di turisti, uccisi in alcuni alberghi interessati dalle esplosioni.
Proprio la combinazione di questi fattori dovrebbe impedire di ricondurre ad una matrice prettamente religiosa quanto è accaduto, anche se non manca chi fa riferimento a questa interpretazione piuttosto riduttiva della strage: presumibilmente per rilanciare la tesi, in verità piuttosto consunta, dello scontro globale tra Islam e Cristianità, cogliere vantaggi politici immediati o magari anche solo coprire responsabilità particolari dei singoli.
L’ipotesi che il massacro perpetrato in Sri Lanka sia stato solo un episodio di questo confronto appare in effetti fragile. Tanto i musulmani quanto i cristiani sono infatti minoritari nel paese teatro degli attentati, che è invece dominato da ceti e forze politiche espressione di una maggioranza nazionalista e buddista che avversa entrambi. Può anche darsi che nell’antica Ceylon qualcuno punti alla soppressione delle minoranze, ma questa condizione non contrappone tra loro cristiani e musulmani, piuttosto unendoli nell’esposizione ad una comune minaccia.Tra le due comunità non corre buon sangue, certamente. Ma è a questo punto più probabile che vero obiettivo dell’attacco in Sri Lanka fosse il Governo locale e mirasse ad oscurarne l’immagine internazionale e destabilizzarlo.
Alla stessa considerazione induce anche la constatazione che gli attentatori hanno preso di mira non solo le chiese, ma altresì l’industria turistica srilankese, colpendo degli hotel ed assassinando numerosi stranieri: pare non meno di 39 tra americani, britannici, indiani, australiani e cinesi, oltre a tre dei quattro figli di un noto imprenditore danese operante nel settore della moda.
Per avvicinarsi alla verità sarà utile cercar di capire a chi giovi l’eventuale collasso dello Sri Lanka e chi invece ne sia particolarmente svantaggiato. Alcuni dati spiccano: Ceylon si trova in una posizione di grandissima valenza strategica, dalla quale si possono controllare le linee di comunicazione marittima che attraversano l’Oceano Indiano, di particolare importanza per le Vie della Seta cinesi, cui lo Sri Lanka ha aderito concedendo a Pechino l’uso del porto di Colombo.
Se il paese precipitasse nel caos, sarebbe quindi proprio la Repubblica Popolare a pagare il prezzo più salato, rischiando la compromissione del proprio investimento: la Belt and Road Initiative perderebbe infatti un perno marittimo di primaria importanza tra l’Estremo Oriente e l’Africa.Entrano a questo punto nella lista dei possibili sospetti tutti gli attori geopolitici ostili al grande progetto geopolitico e commerciale concepito dal Partito comunista cinese: in primo luogo l’India, ma anche quella parte del mondo islamico che nel contesto dell’emersione di un nuovo sistema bipolare ha già scelto di stare dalla parte di Washington.
Proprio per questo motivo, non sembra opportuno trarre conclusioni affrettate. In Sri Lanka, in effetti, neppure il ricorso ai terroristi suicidi è mai stato un’esclusiva islamista, dal momento che utilizzarono kamikaze anche i Tamil, guerriglieri di stampo comunista con numerosi simpatizzanti anche in territorio indiano.
Potrebbe inoltre anche esserci dell’altro: se gli attacchi fossero davvero stati pianificati da chi aveva interesse a destabilizzare il Governo srilankese per assestare un colpo alla Cina, la scelta di concentrare parte importante della violenza contro i fedeli cattolici assumerebbe un significato ulteriore, ovvero quello di un avvertimento in piena regola ad una Santa Sede che ha contribuito con forse eccessivo entusiasmo a sostenere la scelta di Roma di aderire alle Vie della Seta. Per questo motivo, quanto è accaduto a Colombo, Negombo e Batticaloa potrebbe riguardare da vicino anche l’Italia.
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