Chiedono di potersi confrontare con le istituzioni direttamente, "senza le associazioni di categoria che hanno sottoscritto quegli stessi accordi che stanno distruggendo il settore". Chiedono alla Regione il sostegno dei fondi PSR, per poter ridare aria al settore. L'agricoltura, la pastorizia, la pesca, rischiano di morire, e di trasformare l'isola in un importatore di prodotti alimentari di scarsa qualità. Eventualità che non avrebbe ripercussioni a carattere esclusivamente regionale. "Il nostro grano duro finisce in Tunisia. Noi usiamo quello dei paesi dell'est", ci dice un agricoltore dell'ennese.
Nel frattempo erano intervenute le organizzazioni di categoria, a difendere i prezzi e la qualità. Salvatore Maimone, direttore della Cia Enna, aveva dichiarato:
«C'è tanto malumore, stanno nascendo tanti comitati spontanei di protesta, in questa lotta dobbiamo essere tutti coinvolti. C'è un divario non più sostenibile tra costi e ricavi, il prezzo del latte è ai minimo storici, 64-65 centesimi al litro. Colpa anche di una rete viaria da terzo mondo, che costringe a fare prezzi sempre più bassi per non far scappare gli acquirenti, che devono affrontare un calvario per venire a prendersi il latte, e il trasporto è a carico di chi compra. Oltre a questo, enormi difficoltà. Non ci sono per i nuovi bandi del PSR per le indennità compensative, un sostegno di vitale importanza per centinaia di aziende. Bandi riservati a chi, come noi, opera nelle zone svantaggiate e montane, dovrebbero avere una cadenza annuale, mentre l'ultimo risale al 2017».La Presidenza della Regione aveva aperto un tavolo con le associazioni di categoria Associazione italiana allevatori, Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Copagri. Un tavolo a cui lo zoccolo duro dei pastori in rivolta ha riufiutato di prender parte. Un tavolo arrivato troppo tardi, perché la miccia si era già innescata. Gli agricoltori del Belice, un'area che non si è mai del tutto ripresa dal terribile terremoto degli anni '80, si sono uniti ai pastori irriducibili, gettando per strada sacchi di grano il cui prezzo è crollato a 17 centesimi al chilo. Prezzi che non permettono il margine di profitto necessario a riprodurre l'attività economica se non addirittura inferiori ai costi di produzione.
Questo è il percorso che ha portato all'alleanza fra agricoltori e allevatori. Se è vero che alcuni comitati di allevatori si sono dissociati dalla manifestazione, perché vogliono intervenire nel tavolo tecnico, è anche vero il movimento ha avuto l'adesione del comparto ittico-armatori e degli studenti. Cosa che fa pensare a un possibile contagio ad altri settori, penalizzati da scelte politiche e geostrategiche che non valorizzano le attività economiche dell'isola. Già a Licata, lo scorso gennaio, i produttori, la "Sicilia del Fare", sostenuta da studenti e società civile, erano scesi per strada contro le trivelle, per promuovere una politica di valorizzazione dei territori e delle attività locali, per il rilancio dell'economia e il ritorno dei tanti emigrati, spesso laureati, spesso lavoratori specializzati o imprenditori costretti ad abbandonare la propria attività per mancanza di prospettive e ritorni economici. Sotto accusa non solo le politiche energetiche e geostrategiche che sinora hanno penalizzato il settore agrozootecnico e ittico, creato disoccupazione e disastri ambientali, come lamentano i siciliani, ma anche le infrastrutture, la rete stradale e ferroviaria, inadeguate sia alle esigenze di una produzione economica moderna e avanzata. I siciliani inizieranno a indossare i gilet gialli? È presto per dirlo. Ma sicuramente sta nascendo una resistenza sociale volta a difendere il territorio, con una sensibilità per l'ambiente, le agricolture biologiche, che propone un nuovo modello economico, più naturale, più sostenibile che coniughi modernità e identità, cultura siciliana. Staremo a vedere: la rabbia è tanta, come la voglia di riscatto, e la primavera è alle porte.L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione.
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