Benedetto Croce, che oltre che intellettuale fu anche un politico, scriveva che un dieci percento di politici di malaffare o incapaci getta l'ombra del discredito su tutti gli altri, seppur buoni e capaci. Probabilmente voleva mostrarsi ottimista, poiché sembra a tutti evidente che la percentuale degli indegni sia di molto superiore a quella da lui stimata. Tuttavia, c'è anche del vero in ciò che scriveva e, in tutti i partiti e in tutte le epoche, si sono visti donne e uomini che hanno saputo mostrare correttezza, capacità e vera volontà di servizio nelle Istituzioni e nei ruoli che rivestivano. Ciononostante, resta sentimento comune che la classe politica goda di privilegi superiori a quel che merita e questo crea un astio contro di loro, così diffuso da far esultare i più ogni volta che qualche disavventura, giudiziaria o altro che sia, colpisca chi dovrebbe rappresentarci.
La realtà è che, come diceva un uomo probo, si guarda più facilmente la pagliuzza nell'occhio altrui piuttosto che la trave nel proprio. Se si parla di privilegi, ci dimentichiamo troppo spesso che l'intera società e molte categorie di cittadini ne sono portatori. Vogliamo ricordare qualche caso?
È soltanto dal 1° gennaio 2018, a seguito della loro riforma che i giornalisti uomini accedono alla prestazione di vecchiaia al raggiungimento di 66 anni e 7 mesi, mentre per le donne il requisito è di 65 anni e 7 mesi unitamente ad almeno 20 anni di contributi. Naturalmente chi ha raggiunto i requisiti pensionistici entro il 31 dicembre 2016, cioè prima dell'entrata in vigore del loro nuovo regolamento, mantiene la facoltà di andare in pensione con le regole precedenti.
A differenza del sistema gestito dall'Inps il regolamento INPGI, per i giornalisti che non abbiano raggiunto all'età prevista per il pensionamento di vecchiaia il minimo di 20 anni di contributi, prevede la possibilità di chiedere una indennità una tantum pari all'importo dei contributi effettivamente versati nell'assicurazione invalidità e vecchiaia. (art. 5 Regolamento INPGI). Tutto ciò non è forse un grande privilegio?
Eppure, se ci guardiamo intorno, di privilegiati ce ne sono anche molti altri.
Il personale burocratico di alcuni Enti locali ha ottimi benefit: in Trentino i dirigenti ottengono mutui a tasso zero, in Emilia Romagna godono di uno sconto dell'85 percento sui mezzi pubblici locali, in Sicilia hanno diritto a sussidi per il matrimonio, per le colonie estive dei figli e un contributo per le pompe funebri. Al Senato le mensilità non sono tredici, né quattordici, né quindici, bensì sedici. Alla Camera uno stenografo può guadagnare più del Presidente della Repubblica.
E fuori dalle Istituzioni la situazione non cambia. Gli insegnanti hanno, di fatto (seppur non in teoria), tre mesi di vacanza annuali (Natale più Pasqua più i mesi estivi). Qualora insegnino religione hanno uno stipendio più alto dei docenti di altre materie. Se professori universitari, il loro obbligo lavorativo è di sole 350 ore l'anno. I sindacalisti ottengono un'anzianità lavorativa con i relativi contributi pur senza pagarli. Le mogli dei ferrovieri viaggiano gratis nei treni. I tassisti sono soggetti fiscali molto aleatori e, comunque, si proteggono con un numero chiuso delle licenze. La stessa cosa, il numero chiuso, riguarda notai, e molti altri ordini professionali. I dipendenti della SIAE hanno nello stipendio una voce che si chiama "indennità di penna". I giudici amministrativi distaccati presso i ministeri guadagnano in media attorno a 300.000 euro lordi l'anno.Non parliamo poi di tanti altri casi come questi che toccano altre categorie di cittadini, lavoratori o no. Ognuno, se ci pensa e si guarda attorno (magari con uno sguardo anche a se stesso), di situazioni "privilegiate" ne può vedere centinaia. Il noto giurista Michele Ainis ne ha scritto in merito qualche tempo fa sull'Espresso (citando i casi sopra evidenziati).
Anche se qualcosa, nel frattempo, è cambiato, non è cambiata la sostanza. Alcuni di quei vantaggi sono spariti, altri nuovi sono nati e qualcuno è stato travestito per non apparire così evidente. Il problema vero è che, a volte, quelli che sembrano privilegi inaccettabili ad altri sono funzionali alla professione che si svolge o servono a rendere più efficiente e motivato il lavoro. È difficile separare sempre con obiettività ciò che è giusto o necessario da ciò che è spreco e superfluo. C'è anche da pensare che in molti casi, forse, ciò che ci fa indignare non è il senso d'ingiustizia ma solo l'invidia verso chi ha più di noi.
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