Solo questo fermerà il traffico di uomini e l'arbitrio delle milizie garantendo il rimpatrio di chi non ha diritto all'asilo.
Sgombriamo il campo dagli equivoci. I 117 migranti inghiottiti dal Mediterraneo davanti alle coste della Libia non li ha uccisi Salvini, ma chi incoraggia l'attività dei trafficanti di uomini offrendo ai disperati caduti nelle loro mani l'illusione di trovare dei soccorritori pronti a sottrarli alla furia del mare. Su questo fronte i dati parlano chiaro. Nel 2016 quando le Ong erano al massimo della loro attività i morti in mare furono 5022, il massimo storico registrato dal 2002 ad oggi. Nei dodici mesi del 2018, caratterizzati prima dall'azione di Marco Minniti e poi dalla chiusura dei porti voluta dai Salvini, il numero dei morti è precipitato a quota 2275. Ma il minimo storico risale al 2010 quando la tanto vituperata politica dei respingimenti concordata dal governo Berlusconi con il regime del Colonnello Muhammar Gheddafi permise di contare soltanto 20 vittime in dodici mesi, a fronte dei 1274 registrati nel 2008.Ma il passato è chiaro non ritorna. Bisogna dunque chiedersi cosa fare per evitare il ripetersi di queste tragedie evitando di offrire alle navi delle Ong gli alibi necessari per tornare ad agire al di fuori da ogni regola e dettame internazionale. Anche perché il vero intento delle Ong non è umanitario, ma politico. Dietro la nobile motivazione del salvataggio di vite umane si cela l'intento politico e ideologico di giustificare l'arrivo in Europa di centinaia di migliaia di migranti irregolari privi dei requisiti per accedere all'asilo. E questo finisce con l'incrementare l'attività dei trafficanti di uomini.
La chiusura dei porti italiani ha evidenziato, d'altra parte, l'egoismo e l'indisponibilità delle nazioni europee abituate per anni a scaricare sull'Italia il peso della solidarietà. Due problemi restano però insoluti. Da una parte la Guardia Costiera libica non è ancora in grado di garantire da sola la sicurezza delle proprie coste, dall'altra l'arbitrio delle milizie offre facili argomenti a chi sostiene che sia inumano riportare in Libia i migranti salvati in mare. L'unica soluzione per tappare questi due buchi neri è il coinvolgimento delle Nazioni Unite grandi assenti dal 2013 ad oggi sul fronte delle tragedie del Mediterraneo.Peraltro la presenza a Tripoli di un governo appoggiato dalle Nazioni Unite rende oggi più agevole l'approvazione di una missione di Caschi Blu incaricata di agire sia sul fronte marittimo sia su quello terrestre. A quel punto il posto delle Ong potrebbe venir preso da una flotta di navi europee incaricate da una parte di appoggiare la Guardia Costiera libica e dall'altra di garantire il ritorno dei migranti in porti garantiti dai Caschi Blu. Il passo successivo sarebbe il trasferimento dei migranti salvati in mare in centri di accoglienza sorvegliati e protetti dallo stesso contingente dell'Onu. A quel punto sarebbero le Nazioni Unite a decidere, assieme ai rappresentanti europei, quanti e quali di quei rifugiati possono accedere all'asilo e venir trasferiti in aereo nel Vecchio Continente e quanti invece devono venir rimpatriati nei paesi d'origine.
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