Anche se l'econometria (di cui il Ministro Tria era docente) pretenderebbe di conoscere ciò che succederà sulla base di statistiche e calcoli matematici, i risultati che si ottengono sono soltanto una probabilità e niente più.
È bene ricordare questa premessa quando si guarda alla manovra finanziaria che il Governo italiano sottopone alla Commissione Europea. Nessuno potrà affermare con assoluta certezza che essa possa ottenere gli effetti che si propone, ma è altrettanto impossibile sostenere che è sicuramente destinata a fallire. L'unica certezza riguarda il debito pubblico che, sul breve periodo, potrà soltanto aumentare.
La scommessa del Governo è di stampo keynesiano: l'aumento della spesa pubblica innescherebbe un processo produttivo virtuoso che, aumentando il PIL, renderà più facile ripagare i debiti. D'altra parte, sostengono i fautori della manovra, l'austerità impostaci finora ha depresso l'economia e ha soltanto fatto aumentare il debito.
Si può, giustamente, criticare che le risorse destinate agli investimenti strutturali siano insufficienti. Si possono anche invocare motivi politici e non economici, quali la rottura con l'Europa, per dire che l'unico esito sarà fallimentare. Eppure, almeno in teoria, questa manovra potrebbe riuscire.Il vero problema è, come dicevamo, che le variabili sono troppe e, in particolare, sono imprevedibili gli effetti psicologici sui consumatori, incerte le reazioni dei possibili investitori e non sempre trasparenti le decisioni che saranno prese da altri Stati, amici o nemici che siano.
Il nodo del contendere è il nostro debito pubblico che vede l'Italia seconda in Europa dopo la Grecia (in percentuale sul PIL), o terza o quarta al mondo. A essere razionali, il debito pubblico italiano potrebbe non essere affatto un problema poiché il risparmio privato nel nostro Paese è talmente grande da coprirlo abbondantemente.
Sarebbe illogico, quindi, ipotizzare un fallimento del Paese perché, come estrema ratio, grazie a un prelievo fiscale straordinario (una patrimoniale) quello stesso debito sparirebbe. Il fatto è che, anche qui intervengono motivi non strettamente economici: una simile tassazione sarebbe molto impopolare ed è difficile immaginare una qualunque classe politica che voglia assumersi quella responsabilità. In misura molto ridotta lo fece il governo Amato anni orsono e ancora oggi tutti gli italiani ricordano con rancore quell'evento.
Purtroppo, il nostro debito pubblico esiste e, come sa qualunque giocatore di poker, si può sempre continuare a "rilanciare" aumentando la posta ma il rischio è che, prima o poi, qualcuno voglia "vedere". Poche sere orsono, in un reportage televisivo, uno stolido sostenitore dei Cinque Stelle sosteneva che a lui dello spread non importava nulla. Perfino alcuni ministri hanno dichiarato che la volontà popolare conta più della finanza.
Intanto bisogna dire che il popolo dei Cinque stelle, quello che domanda soldi allo Stato, se anche ne avesse non li investirebbe in buoni del Tesoro. Fatto cento il nostro debito, solo il sette è detenuto da cittadini privati italiani. Se l'Italia vivesse in un mondo ove essa fosse l'unico soggetto economicamente attivo si potrebbe perfino considerare con una certa indulgenza quelle affermazioni e condividere che della finanza e dello spread non ci importa... Tuttavia, non siamo l'unico Paese al mondo e, anche se lo fossimo, non è garantito che ciò basterebbe. Ogni Stato ha la necessità di finanziare le proprie spese contraendo prestiti attraverso varie forme, cui le principali sono i propri buoni del Tesoro. Riuscire a venderli dipende sì dal tasso d'interesse che è offerto, ma soprattutto dal grado di fiducia che ispira. Non si spiegherebbe diversamente il fatto che i Bot tedeschi si vendano nonostante diano un rendimento addirittura negativo.I grandi investitori internazionali promettono ai propri sottoscrittori che i loro soldi saranno impiegati soltanto verso impieghi con poco o del tutto privi di rischi. Nello sforzo di fare scelte le più possibili oggettive è stato deciso che la qualifica di rischiosità cui affidarsi è quella stabilita dalle grandi agenzie internazionali di rating (Fitch, Moody, Standard and Poor, ecc.).
Che si tratti di una scelta giusta o sbagliata è del tutto opinabile, anche perché, lo si è visto nella crisi del 2008, queste agenzie hanno spesso sbagliato nelle loro valutazioni, in buona o in mala fede. Ma tant'è! Non affidarsi a loro significherebbe fare scelte puramente discrezionali da parte dei gestori che dovrebbero però spiegare volta per volta ai propri sottoscrittori e azionisti il perché della loro decisione.
Il fatto che queste agenzie abbiano deciso di porre il livello di rischiosità dell'Italia sull'ultimo gradino prima della definizione "spazzatura" significa che, per invogliare gli investitori, la Banca d'Italia sarà costretta ad aumentare gli interessi che offre di pagare. Qualora, in un futuro magari prossimo, quelle stesse agenzie definissero "spazzatura" i nostri titoli di stato, nemmeno la Banca Centrale Europea, i vari fondi d'investimento e le nostre banche e assicurazioni potrebbero più comprarne.
È giusto o sbagliato il giudizio di quelle agenzie?
È quindi chiaro e certamente lo è anche per i nostri rappresentanti al Governo che nessuna scelta economica, bella o brutta che sia, rimane nei limiti da essa stessa creati e nessuna economia al mondo rimane una "monade" chiusa in se stessa.
Quali conclusioni trarne? Le scelte del governo Conte non si possono definire con certezza né giuste né sbagliate. Si tratta semplicemente di una scommessa che però non può prescindere dalle valutazioni che ne daranno gli altri. È per questo motivo che occorre creare il massimo di consenso sui mercati e, per ottenerlo, la collaborazione e la condivisione degli altri partner europei diventano indispensabili.
Un atteggiamento aggressivo verso Bruxelles non va certo in questa direzione e ci fanno ben sperare le ultime dichiarazioni di Conte che ha dato la disponibilità a ridiscutere l'intera manovra con la Commissione.
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