Proprio allo scopo di evitare incidenti in caso di incursioni, le autorità russe ed israeliane hanno concordato delle procedure per lo scambio preventivo di informazioni, che nel complesso avevano funzionato abbastanza bene, seppure nei limiti di una situazione comunque non facile.
Chiaramente, nelle prime ore di lunedì 18 settembre scorso qualcosa non è andata per il verso giusto ed il risultato è stato l'abbattimento di un Il-20 russo e la morte dei 15 militari che si trovavano a bordo. Sono circolate a caldo varie ricostruzioni dell'accaduto, alcune delle quali avevano chiamato in causa anche una fregata francese, ma al momento in cui questo commento viene pubblicato la versione più accreditata, sulla quale si registra la più ampia convergenza delle fonti, è che il velivolo russo sia stato colpito per errore da un missile S-200 lanciato dalla contraerea siriana.Damasco ha in parte riconosciuto le proprie responsabilità, sottoscrivendo quest'analisi dei fatti e contribuendo ad evitare un inutile avvitamento diplomatico della crisi. L'accertamento della verità si presenta del resto molto difficile, data la gran moltitudine di navi ed aerei presenti nell'area al momento della disgrazia. Lo complicano anche le inevitabili recriminazioni degli Stati coinvolti. D'altra parte, la perdita di vite umane è sempre un fatto deprecabile e lo è ancor più quando esiste la sensazione che la si sarebbe potuta evitare.
Proprio per questo motivo — e per la presenza nella zona interessata dall'incidente delle forze di almeno tre potenze nucleari — occorre salutare con favore la prudenza alla quale si è finora improntato il comportamento di tutti gli attori in causa.
Tali circostanze parrebbero dimostrare che al di là della caduta dell'Il-20 e del disappunto che ha comprensibilmente suscitato al Cremlino, non esiste alcuna volontà di precipitare in Siria una crisi politico-militare di maggiori proporzioni, malgrado questa volta i velivoli di Tsahal si siano pericolosamente avvicinati alle zone di maggior importanza per il contingente inviato dalla Russia in Siria. Tutti paiono consapevoli dei rischi che l'aggravamento delle relazioni russo-israeliane potrebbe comportare e stanno facendo del loro meglio per gettare acqua sul fuoco.
Tutto questo integra gli estremi di una risposta sostanzialmente "tecnico-operativa" alla crisi, che tuttavia potrebbe rivelarsi alla lunga insufficiente, eludendo i nodi politici reali di tutta la vicenda.
La guerra civile siriana sembra, infatti, finalmente avviarsi ad una conclusione che ridefinirà gli equilibri regionali per gli anni a venire. Il messaggio che gli attacchi israeliani sembrano veicolare è quello di una determinazione crescente dello Stato ebraico a sradicare la presenza militare iraniana in Siria ed isolare l'Hezbollah libanese. Le pressioni esercitate da Israele dovranno essere gestite all'interno di un negoziato bilaterale riservato, nel quale alla Russia sarà verosimilmente chiesto di allontanare dalla Siria ogni forza militare o paramilitare legata a Teheran. Non mancano analisti che ritengono questo indirizzo compatibile con gli interessi di Mosca, ad esempio nel campo energetico, ma non si vede come la politica mediorientale russa possa abbracciare apertamente questa prospettiva senza pagare un prezzo alle proprie attuali alleanze.Il momento è delicato perché è diffuso il convincimento che i combattimenti stiano per terminare. Ormai non si lotterebbe più per abbattere o difendere Assad, ma piuttosto per delimitare le frontiere delle future sfere d'influenza che attraverseranno in Siria. Le misure di prevenzione o "deconfliction", pure essenziali, permetteranno di guadagnare tempo prezioso, ma tra Russia ed Israele dovrà intervenire un chiarimento politico.
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