"Il nuovo modo per procedere alla conquista del mondo consiste semplicemente nel fatto che non è piu' necessario usare forze militari per soggiogare i popoli ma basta dare loro enormi prestiti per ottenerne il controllo economico e finanziario grazie ai debiti e agli interessi da pagare. Il risultato è lo stesso: in entrambe le maniere i popoli diventano permanenti tributari e dipendenti vassalli."
Sono parole tratte da un libro dell'economista John Perkins (Confessions of an Economic Hit Man-2004). In realtà, lui, americano, le riferiva proprio alla politica estera del suo Paese ma se guardiamo la strategia che oggi la Cina sta applicando in varie parti del mondo possiamo essere certi che gli USA non sono piu' i soli a farlo.
Chi pensa che le ambizioni cinesi nel mondo puntino soltanto a procurarsi le materie prime necessarie alla propria crescita e a garantirsi le vie di comunicazione per il loro trasporto si sbaglia. Basterebbe guardare cosa succede in Asia e in Europa per cogliere meglio la vastità del disegno strategico dei nuovi "mandarini". Chi nutrisse ancora qualche dubbio sulle reali intenzioni potrebbe vedere a quanto ammontano le spese della Cina in armamenti. Nel settore sono ormai 225 i miliardi di dollari investiti e dal 2008 ad oggi il trend di spesa è più che raddoppiato.
Anche in Europa la penetrazione cinese è sempre piu' diffusa. Gli investimenti di capitali sono passati dai due miliardi di euro nel 2010 ai 35 miliardi del 2016, superando negli ultimi cinque anni quelli americani. Occorre non sottovalutare il fatto che sono quasi sempre soldi non privati, bensì decisi e controllati dal Governo di Pechino.
Per capire dimensione e obiettivi della strategia cinese occorre ricordare che il 75 % dell'import europeo arriva via mare attraverso i porti del nord ed è una compagnia di quel Paese a detenere il 35% di Euromax, la società che gestisce il porto di Rotterdam, e il 20% del terminal di Anversa. Poiché il transito via Mediterraneo sarebbe piu' breve, meno caro e darebbe comunque accesso al continente, dal 2009 la COSCO (China Ocean Shipping Company) ha cominciato a fare contratti con il porto greco del Pireo arrivando nell'agosto 2016 ad acquisirne una quota del 51%. Da allora 3/5 delle merci cinesi che arrivano in Europa passano dal Mediterraneo. La stessa COSCO non si è fermata in Grecia: possiede anche il 51% di Noatum, la società che gestisce i porti di Valenza in Spagna e di Bilbao sull'Atlantico. Il terminal container di Barcellona, che è totalmente automatizzato e in tutto il mare una volta "nostrum" può ricevere le navi piu' grandi di ogni altro porto mediterraneo, appartiene già alla società Hutchinson Ports con sede a Hong Kong.
Dall'altra parte del Mediterraneo è cinese anche il terzo (per volumi) porto turco di Kumport, vicinissimo a Istanbul, e non va sottovalutato che la Turchia è un partner economico privilegiato dell'Unione. Sempre da cinesi sono costruiti e finanziati i nuovi porti israeliani di Haifa e Ashdod. Per non lasciare le cose a metà, sono sempre società "mandarine" ad essere i piu' grandi investitori nella Zona Economica Speciale del canale di Suez mentre, sempre in Egitto, la China Electric Power Equipment and Technology sta tirando 1210 km di cavi elettrici e costruisce una centrale elettrica con potenza di 500KW. Sulla terraferma europea, oltre ad interessarsi di piccoli Paesi come la Moldavia destinati in futuro a diventare possibili membri dell'Unione o almeno a godere di esenzioni doganali, Pechino sta finanziando, tra l'altro, la nuova autostrada Belgrado-Budapest nei Balcani. Altre quote di partecipazione si trovano in varie società ferroviarie.Per quanto riguarda l'Italia, basta ricordare che il nostro è uno dei Paesi ove la bassa crescita e la crescente debolezza dell'economia rendono molto economiche e facili le acquisizioni. Fino ad ora gli investimenti cinesi hanno privilegiato Germania e Gran Bretagna mentre Italia e Francia sono rimaste al terzo e quarto posto. Negli ultimi sei anni le cose han cominciato a cambiare. Se nel 2013 erano arrivati poco piu' di un miliardo di euro e nel 2014 quasi 2miliardi e mezzo, nel 2015 sono stati sette miliardi e duecento, per scendere leggermente negli anni successivi. Di fatto la Cina è oggi il decimo investitore nelle aziende italiane quotate in Borsa.
Il vero problema di tutte queste azioni cinesi in Europa e nel Mediterraneo è che la loro presenza non si limita a garantirsi le vie d'accesso ad un mercato particolarmente ricco ma punta ad acquisire il controllo sulle società di gestione delle infrastrutture. Il risultato è di diventare i padroni reali delle attivita' e di poter così decidere man mano, secondo convenienza, quale approdo, o via di comunicazione, privilegiare anche a scapito delle altre controllate. È facile immaginare il potere di condizionamento che ne deriva sui Governi a causa delle ricadute in termini economici e occupazionali.Il progetto "Nuova Via della Seta" non è un semplice progetto commerciale. È il mezzo attraverso cui Pechino punta a espandere la sua influenza e la sua presenza strategica nell'Asia del Sud, in Medio Oriente, in Europa e perfino in Russia. Col tempo e gradualmente, abitua e poi impone al nuovo vassallo anche la propria lingua, cultura e abitudini. Controllare le infrastrutture, i nodi cruciali dell'economia e magari tenere sotto scacco le locali Istituzioni significa comandare senza correre i rischi di doversi sobbarcare anche i problemi del comandato.
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