Platone per l'esattezza, in un passo da ‘La Repubblica', un'opera filosofica in forma di dialogo che scrisse tra il 390 e il 360 a.C. (Scalfari è venuto dopo), diceva che i custodi dello Stato devono guardarsi dall'ubriachezza perchè sarebbe senz'altro ridicolo che un custode debba a sua volta aver bisogno di un custode. Ecco, il problema è noto quindi da tempo. A quanto pare, però, dopo tutti questi secoli una soluzione non l'abbiamo ancora trovata e anzi, se l'evoluzione dal punto di vista tecnologico ci ha portati sempre più avanti, dal punto di vista filosofico e morale non ci siamo mossi di molto da allora. Qualsiasi libertà ha un senso se c'è anche un limite imposto a quella libertà stessa altrimenti la libertà dei più prepotenti finirebbe per sopprimere quella dei più deboli. In un mondo ideale, sociale e logico, dovremmo essere quindi liberi di esprimerci ma non fino al punto di poter infangare gratuitamente il nome altrui, per esempio, istigare a delitti oppure fomentare odio. Qualcuno tuttavia dovrebbe farsi carico di un controllo sulla fruizione di questo diritto di espressione proprio perchè nessuno dovrebbe abusarne.
Ecco quindi il problema che Platone e Giovenale avevano individuato — posto che si riesca a definire chi debba esercitare questo controllo poi, a questi controllori, chi li controlla? Sappiamo bene come nella comunicazione moderna il problema sia stato strumentalizzato — da una parte, quella dell'informazione tradizionale, si è cercato di fare leva sul concetto del "sacro diritto di espressione", tanto che è grazie a questo principio che oggi abbiamo la ‘satira' di Charlie Hebdo e giornali mainstream che non si fanno scrupolo di scrivere editoriali non troppo "amichevoli" e obiettivi nei confronti di Paesi non allineati ad una certa politica ma che, fino a prova contraria, sono Paesi amici; dall'altra parte abbiamo invece proclamata la "necessità di contenere la diffusione delle fake news", rivolta però, guarda caso, solo all'informazione social e online. Insomma due tipi di controlli e controllori diversi, o forse i controllori li si vorrebbe sempre gli stessi, ma i metodi di controllo sicuramente diversi. In ogni caso due pesi e due misure antitetiche, questo pare chiaro.Sono notizia recente, per esempio, le disavventure social di Anatoly Shariy, blogger con oltre 280.000 follower che critica il Governo di Kiev, l'Europa e la NATO. Mai una parola razzista, incitamento all'odio, volgarità, insulti, solo tanta ironia, satira e uno sguardo tagliente e sferzante nei confronti della politica ucraina filoccidentale. Eppure si è ritrovato con l'account sparito con un click, premuto non si sa neppure da chi e con che argomentazioni. Poi ricorso, poi promessa di riattivazione ma comunque ban per almeno 20 giorni. Pare che la sua pagina Facebook avesse semplicemente ricevuto troppe segnalazioni da chi, evidentemente, quel tipo di informazione e satira proprio non la sopporta. D'altra parte è anche vero che c'è gente sullo stesso social che inneggia al battaglione Azov, Praviy Sector o posta tranquillamente selfie con croci uncinate e simboli neonazisti senza che nessuno gli dica nulla.
Alfio Krancic, il vignettista del Giornale, per continuare a disegnare e postare liberamente è andato a rifugiarsi su VK, il social russo. Se però andate alla pagina, sempre Facebook, di Charlie Hebdo, vedete che la vignetta sul Ponte Morandi se la sono messa come immagine di copertina proprio perchè non gli sembrava di aver provocato abbastanza. In confronto Krancic è un signorino elegante del ‘700, eppure è lui quello che viene bannato una vignetta ogni due sul social occidentale. Paradossalmente, d'altro canto, proprio la più grande di tutte le bufale apparse sui social, quella dell'attacco chimico farlocco messo in scena dagli White Helmets a Duma, quella è stata l'unica presa ad oracolo e fonte suprema da tutto il mainstream occidentale, tanto che abbiamo rischiato una guerra mondiale con l'attacco missilistico che gli alleati lanciarono in risposta a quel pretesto.
Nel contempo l'Unione Europea sta valutando nuove risoluzioni contro le fake news, mentre addirittura per combattere la ‘propaganda' russa ne aveva approvata già una nel 2016.
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