Milan Nedić non sarà riabilitato e resta un criminale di guerra. Questa la decisione presa l'11 luglio dal Viši Sud (l'Alta Corte) di Belgrado e pubblicata alla fine di luglio.
L'istanza di riabilitazione era stata inoltrata nel 2015 dalla famiglia. L'obiettivo era riconoscere che Nedić era stato "privato della libertà senza decisione amministrativa o giudiziaria, come vittima di persecuzione per ragioni politiche e ideologiche" e richiedeva l'annullamento della revoca dei diritti civili e della confisca di tutte le sue proprietà.
Ma perché le autorità jugoslave dichiararono "nemico del popolo" Milan Nedić - una delle figure più controverse della storia serba contemporanea?
Nell'agosto del 1941 i nazisti gli affidarono l'incarico di formare il "Governo di Salvezza Nazionale". Fu applicato un modello già sperimentato col governo di Vichy di Philippe Pétain in Francia, con quello di Vidkun Quisling in Norvegia e che sarebbe stato ripetuto due anni dopo con la Repubblica di Salò di Mussolini: governi apparentemente sovrani ma guidati da collaborazionisti locali alle totali dipendenze del Terzo Reich.
Sotto il governo Nedić, la Serbia visse alcune delle pagine più tragiche della sua storia. Sotto le forze di occupazione, il crimine contro gli ebrei, i rom, i comunisti e gli antifascisti raggiunse il massimo dell'efficienza. Questi furono dapprima internati nel campo di concentramento di Sajmište (nel circondario di Zemun, allora parte di un altro stato fantoccio: lo "Stato Indipendente Croato") per essere poi sterminati nel modo "più economico" e disumano possibile. Su iniziativa di Heinrich Himmler, per "ridurre lo stress psicologico degli internati", fu ordinata la modifica del tubo di scappamento dei camion destinati a trasportare i prigionieri in modo che formasse una "U" e rientrasse nel vano posteriore dove si trovavano ammassati gli internati che venivano asfissiati durante il trasporto.Nell'agosto del 1942, il generale Alexander Lohr, comandante delle truppe naziste nei Balcani, dichiarò che la Serbia era "Judenfrei": fu il primo paese dell'Europa occupata a godere di tale status, come riferisce Walter Manoschek in "Serbien ist judenfrei" del 1995. (È importante notare che il ruolo principale in questo è stato svolto dalle autorità di occupazione nazista. — NdR)
Lo storico Misha Glenny ha mostrato che degli oltre 8.000 tra donne e bambini ebrei che passarono per il campo di Sajmište, solo 6 arrivarono vivi alla sconfitta dei nazisti.
Milan Nedić non si limitò ad essere esecutore e complice di queste atrocità, ma organizzò lo sforzo bellico a fianco dei nazisti e le loro campagne di occupazione e di aggressione. Con la liberazione della Serbia da parte delle truppe sovietiche con l'appoggio dell'Esercito Popolare di Liberazione di Tito, Nedić scappò con i tedeschi in Austria, cercando anche di organizzare una resistenza nazionalista alla nuova Jugoslavia socialista. Arrestato nel gennaio del 1946, si è suicidato il 4 febbraio, prima che fosse aperto il processo per collaborazionismo, crimini di guerra e contro l'umanità.
Anche se si trattava di un criminale patentato, la sua figura è divenuta paradossalmente controversa negli anni novanta e soprattutto nei primi anni del XXI secolo, quando nel dibattito pubblico sono comparse posizioni inclini a considerare Nedić non tanto un criminale e traditore del proprio popolo, quanto piuttosto un patriota, che ha difeso l'integrità della Serbia e ha combattuto per gli interessi del popolo serbo sotto occupazione della Germania nazista.
Ricordiamo che la Serbia ha pagato l'occupazione nazista con 300.000 morti, dei quali 80.000 nei campi di concentramento. E sono più di un milione e mezzo i morti jugoslavi nel corso della guerra; fra questi almeno 300.000 i partigiani di Tito caduti per la liberazione del Paese.
Negli stessi anni, in Italia, non solo i nostalgici della monarchia chiedevano il rientro in Patria dei discendenti di Casa Savoia, ma addirittura la restituzione delle proprietà e la sepoltura nel Pantheon di chi mandò Mussolini al governo, firmò le Leggi per la Difesa della Razza, fu connivente e complice di venti anni di fascismo e se la diede a gambe quando arrivarono i nazisti.
Intanto Renzo de Felice e Claudio Pavone - nei libri "Intervista sul Fascismo", "Rosso e Nero" e "Una guerra civile" - tentavano la spericolata riabilitazione dei "ragazzi di Salò", presentati come patrioti che si trovavano "dalla parte sbagliata", finché il presidente Giorgio Napolitano non ha imposto uno stop ripristinando un chiaro confine fra chi ha combattuto per la liberazione della propria Patria e chi sparava e torturava a fianco degli invasori nazisti.
Nonostante le vicissitudini post belliche cui sono andati incontro i Paesi dell'ex Jugoslavia, oggi la Serbia con questa sentenza esemplare ha dimostrato di non aver dimenticato la propria storia. Che sia un insegnamento anche per noi.
L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione.
Lista dei libri:
Renzo de Felice, Intervista sul fascismo, a cura di Michael Ledeen, introduzione di Giovanni Belardelli, Roma-Bari, Laterza, 1997 [1975], ISBN 88-420-5371-6.
Renzo De Felice, Rosso e Nero, a cura di Pasquale Chessa, Milano, Baldini&Castoldi, 1995, ISBN 88-85987-95-8.
Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, ISBN 88-339-0629-9.
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