Per Damasco è la madre di tutte le battaglie. Una battaglia fondamentale per completare la riconquista di una Siria occidentale dove si concentrano gran parte della sua popolazione, della sua economia e dei suoi commerci. Per la Russia è, invece, un problema aperto. Un problema da risolvere non solo con la forza delle armi ma, se possibile, anche con la diplomazia.
Il nocciolo del problema si chiama Idlib ed è rappresentato da quella provincia siriana al confine con la regione turca di Antiochia occupata da oltre 70 mila ribelli appartenenti alle più disparate fazioni islamiste. Una vera e propria Fort Alamo del jihadismo su cui regna egemone Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ovvero Jabhat al-Nusra, la costola siriana di Al Qaida. Nei circa cinquemila chilometri quadrati di questo governatorato da due milioni di abitanti sono stati trasferiti, negli ultimi quattro anni, tutti i militanti arresisi al termine delle offensive condotte da russi e siriani nelle zone di Homs, Aleppo, Ghouta, Da'ara e Quneitra.
Damasco, dopo la vittoriosa offensiva nei territori del Golan al confine con Israele è ansiosa di regolare i conti anche con loro. "Il nostro obbiettivo è Idlib e non solo Idlib, saranno i militari a decidere le priorità, ma Idlib è una di queste", ha già detto Bashar Assad. Il presidente siriano deve però far i conti con le strategie di Vladimir Putin. Solo l'appoggio militare, logistico e diplomatico di Mosca può, infatti, garantirgli un facile successo. Ma quell'appoggio non è così scontato. Almeno non per ora.
In teoria Vladimir Putin avrebbe ottime ragioni per far piazza pulita di quella sacca ribelle. Restituire Idlib ai propri alleati significherebbe metter fine ai numerosi attacchi con i droni lanciati dai ribelli contro la base russa di Hmeimim, alla periferia di Latakia e, nel contempo, liquidare migliaia di militanti islamisti con passaporto e cittadinanza russa rintanati nelle basi alqaidiste.
Prima di scegliere l'opzione militare Vladimir Putin deve considerare le possibili ripercussioni nei rapporti con Ankara. Rapporti economicamente assai importanti visti gli investimenti di Mosca nello sfruttamento del gas turco e nel settore del nucleare, ma ancor più importanti sul piano diplomatico e geopolitico. Tenersi stretto Erdogan significa, infatti, incrinare la coesione di un'Alleanza Atlantica di cui la Turchia rappresenta un tassello fondamentale. Ma il rapporto con la Turchia è indispensabile a Mosca anche per conservare quel ruolo di ago della bilancia tra le diverse potenze coinvolte in Siria. Un ruolo che Mosca ha pazientemente coltivato a partire dagli incontri di Astana.
In base a quelli accordi la provincia di Idlib è diventata una zona di "de conflittualizzazione" affidata al controllo di Ankara che, non a caso, mantiene nella provincia 12 avamposti affidati al proprio esercito. Forte di ciò il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha già ricordato a Putin che un eventuale offensiva russo siriana per la riconquista di Idlib porterebbe alla cancellazione degli accordi di Astana.
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