Prima le immagini del tricolore italiano in fiamme diffuso dalle televisioni della Cirenaica fedeli al generale Haftar. Poi le dichiarazioni dello stesso generale che — dopo quattro anni passati a far la guerra agli islamisti incita i capi tribù del sud della Libia "al Jihad contro i fascisti italiani". Che succede? L'Italia è veramente ai ferri corti con l'uomo forte di Tobruk?
Il tentativo fallisce, ma Macron non demorde. L'arrivo al potere di Cinque Stelle e Lega, ovvero di quella che il presidente francese considera la "lebbre populista", lo spinge a riprovarci. Il 29 maggio mentre Salvini e Di Maio discutono l'intesa di governo il presidente francese approfitta del vuoto di potere a Roma per riconvocare Haftar e Serraj e dettar loro un accordo che fissa le elezioni per il prossimo 10 dicembre. Con quel voto Macron punta a regalare la vittoria ad un generale forte del consenso in Cirenaica e dell'appoggio di quanti in Tripolitania lo considerano la miglior garanzia per tener lontani i jihadisti. Ma Macron non ha fatto i conti con l'irruenza di un Haftar che subito dopo tenta di metter le mani sui terminali petroliferi della Cirenaica.
L'obbiettivo è semplice. Vuole sottrarre alla Noc (National Oil Company la compagnia nazionale di Tripoli) i proventi del greggio libico, dirottarli su una compagnia della Cirenaica ed indebolire l'esecutivo di Sarraj. L'azzardo inguaia anche Macron. Dopo un quadrilaterale con italiani, inglesi e statunitensi convocato a Roma il 9 luglio su richiesta del presidente Trump il ministro degli esteri francese è costretto a chiedere ad Haftar di restituire i terminali petroliferi alle competenze di Tripoli. E nella stessa riunione viene anche cancellato l'appuntamento elettorale del 10 dicembre voluto dall'Eliseo.La retromarcia imposta ad Haftar e Macron è preceduta da un altro smacco sostanziale. Il 7 luglio il ministro degli esteri italiano Enzi Moavero Milanesi dopo un incontro con l' omologo libico a Tripoli annuncia la riattivazione del Trattato di Amicizia firmato a suo tempo da Silvio Berlusconi e da Muhammar Gheddafi. Il trattato pur costringendo Roma al versamento di cinque miliardi di dollari per i danni di guerra la trasforma nel principale partner commerciale. E garantisce l'impegno libico per il respingimento dei migranti. Il trattato è una minaccia per un Haftar che non beneficerà dei 5 miliardi di investimenti e rischia di veder lo sbarco in Libia di truppe italiane per garantire la sicurezza dei centri di rimpatrio per migranti. Ma quel che più impensierisce il generale è un intervento italiano per il controllo delle frontiere meridionali.
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