Le prospettive del paese appaiono ora più incerte, perché alle difficoltà d'intesa tra i partiti si è aggiunta un'aspra polemica sul ruolo svolto in tutta questa lunga crisi dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Con un passo privo di precedenti nella storia repubblicana, in effetti, dopo aver accettato la rinuncia al mandato del Premier incaricato Giuseppe Conte, il 27 maggio sera il Capo dello Stato italiano aveva spiegato pubblicamente perché si fosse opposto alla nomina del professor Paolo Savona a Ministro dell'economia e delle finanze, affermando di averla ritenuta oggettivamente minacciosa per le ripercussioni che avrebbe potuto generare sulle aspettative dei mercati e quindi il risparmio italiano.
Naturalmente, non è questa la sede per soffermarsi sulle complesse questioni di diritto costituzionale che il gesto del Capo dello Stato italiano ha sollevato, anche perché il terreno è delicato ed è giusto rimetterlo al prudente apprezzamento degli esperti della materia. Sembra invece opportuno sottolineare, anche per le conseguenze che potrebbero derivarne, come quanto è accaduto abbia accresciuto i già notevoli risentimenti suscitati in alcuni ambiti dal progressivo rafforzamento dei poteri del Quirinale. Malgrado la centralità riconosciuta dalla Costituzione al Parlamento, da tempo l'ufficio del Presidente della Repubblica è infatti divenuto il riferimento più importante della politica italiana, tanto sul piano interno quanto su quello internazionale.
Le polemiche che si registrano in questi giorni in Italia hanno dunque origini antiche, attraversando l'intera esperienza della cosiddetta Seconda Repubblica, durante la quale la più alta carica della Repubblica è sempre stata appannaggio del centro-sinistra.
Non è quindi da escludere che nei prossimi mesi, il dibattito sulla legge elettorale, in effetti mai sopito, venga affiancato da un confronto sulle modalità di elezione del Capo dello Stato. I tempi parrebbero infatti maturi per discutere almeno della possibilità di ricorrere al suffragio universale: ipotesi peraltro già prefigurata più volte ed alla quale conseguirebbe senza dubbio il riconoscimento al Presidente della Repubblica di più penetranti poteri di indirizzo politico.
Sta infiammando il clima a Roma anche la sensazione che nei giorni scorsi il Quirinale sia stato destinatario di pressioni provenienti dall'estero, in particolar modo dalla Germania e, forse, anche da quei settori del sistema politico statunitense che influiscono maggiormente sul Dipartimento di Stato. L'America peraltro non esprime attualmente una visione univoca. E la visita di Steve Bannon a Roma ha permesso di accertarlo, evidenziando un insospettabile interesse di Washington al successo dell'esperimento di governo giallo-verde appena tramontato, parte di quella rivolta globale e populista contro le élites di cui l'elezione di Trump è stata forse il momento più eclatante.Non è peraltro difficile intuire, alle spalle di questi schermi ideologici, l'interesse dell'attuale Casa Bianca ad indebolire Berlino, il vero fattore che ha reso rilevante l'Italia al calcolo geopolitico del Presidente statunitense. E' un dato nuovo, che l'esecutivo guidato da Paolo Gentiloni non ha saputo sfruttare a pieno e che è destinato a persistere.
Non può stupire, in questo contesto, che il tentativo di Conte avesse trovato sponde anche nella Francia di un Macron che interloquisce tanto con Trump quanto con Putin e pare ansioso di reclutare Roma in uno schema politico ostile alla Germania. Tutto induce a ritenere che un riallineamento dell'Italia in senso anti-tedesco lungo le coordinate che si prospettavano non sarebbe riuscito sgradito né alla Presidenza americana né, tanto meno, ad una Russia di cui proprio Bannon ha auspicato a Roma il rapido reinserimento in Europa.
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