Proprio prima dell'inizio della più grande esercitazione militare congiunta tra Sud Corea e Stati Uniti, il 6 marzo, il regime nord coreano aveva, infatti, fatto partire verso le acque del Giappone quattro missili balistici capaci di portare mini bombe atomiche. I missili caddero, volutamente, all'interno della zona marina di competenza giapponese. La distanza raggiunta non era casuale poiché copriva quella che va dalla base di lancio nord-coreana alla grande area militare americana in Corea del Sud. Poco più tardi, il 22 marzo, ci fu un secondo lancio e poco importa che, a detta degli esperti, fosse un fallimento.
Se ragionassimo con la razionalità che pretendiamo essere connaturata alle azioni di tutti i Governi, dovremmo dedurre che le azioni di Kim Jong Un sono senza senso e che i coreani si stiano facendo del male da soli andando a cercarsi reazioni straniere che potrebbero diventare anche molto pericolose per la loro sopravvivenza come Stato. Tuttavia non è questa la giusta chiave di lettura.
Che le azioni di Pyongyang fossero rischiose ma, ciononostante, ben calcolate, lo si è visto pochi giorni dopo, quando Tillerson, partito bellicoso da Seul è arrivato a Pechino.: i suoi toni sono improvvisamente cambiati e ha dovuto dichiarare che USA e Cina cercheranno "insieme" come risolvere la questione nordcoreana. Chi aveva preconizzato un qualche attacco "preventivo" americano contro le istallazioni nucleari, almeno per ora, dovrà ricredersi.
La marcia indietro americana è stata imposta dai cinesi che non possono tollerare un intervento militare USA vicino ai propri confini e, d'altra parte, gli americani, memori dell'intervento cinese nella guerra di Corea del '51, non hanno alcun interesse a un confronto con Pechino, nemmeno se indiretto. Detto ciò, anche i cinesi sono profondamente irritati dal comportamento aggressivo del vicino e da qualche tempo cercano, con le buone e con le cattive, di convincere il dittatore a cessare lanci ed esperimenti nucleari. Sanno benissimo che l'atteggiamento di Kim Jong Un autorizza di fatto gli americani a potenziare la propria presenza nella Corea del Sud (vedi la confermata installazione del sistema anti missile Thaad), cosa certo non gradita da Pechino. Nello stesso tempo sanno anche che un attacco nemico causerebbe certamente la fine del regime, con almeno un milione di profughi in fuga verso la Cina. Cosa ancor peggiore, la Corea del Sud non potrebbe che riunificare il Paese, portando così i propri confini (e le relative basi americane) a contatto diretto col territorio cinese. Anche Seul, tuttavia, pur se preoccupata dalle continue dimostrazioni belliche di Pyongyang, in caso di bombardamenti americani sul vicino del nord teme molto di più che, prima di soccombere, ci sia una reazione con lanci atomici che metterebbero a ferro e fuoco le principali città sud coreane. Senza contare i costi enormi che si troverebbe ad affrontare per la ricostruzione non solo del proprio territorio ma anche, cosa ancor più gravosa, di tutto il nord stesso. La paura di ritorsioni a seguito di un attacco USA in Corea è sentita anche a Tokio, ove è noto che i missili nord coreani sono tecnicamente in grado di raggiungere tutte le maggiori città.Per quanto sia rassicurante, quindi, giudicare "pazzo" il dittatore nord coreano, occorre ammettere che ogni sua mossa è studiata per raggiungere fini precisi ed è una scommessa che, nonostante tutto, nessuno avrà la volontà e nemmeno un vero interesse ad attaccarlo. Avere il possesso di armi nucleari e mostrarsi pronto a usarle rappresenta, quindi, la sua miglior garanzia per scoraggiare possibili tentazioni di "cambio di regime".
Per quanto lo si disprezzi e si minaccino le azioni più bellicose, a nessuno oggi conviene toccarlo e questa è la scommessa su cui conta. Come in una partita di poker, i suoi continui "rilanci" rimandano l'esito finale e ciò gli concede altro tempo. Il suo rischio è che, prima o poi, qualcuno vada a "vedere" e solo allora si capirà chi vince e cosa vince, chi perde e cosa perde.
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