Al contrario, la caduta di Mosul porrà il problema delle relazioni interne all'Iraq stesso tra i curdi, le tribù sunnite (che in gran parte, all'inizio, avevano parteggiato per gli islamisti) e la maggioranza della popolazione di fede islamica sciita. I curdi porranno le condizioni per ottenere una vera e vasta autonomia (quella che, d'altronde, si sono gia' conquistata sul campo di battaglia), le tribù sciite non vorranno rinunciare alle posizioni di potere e di rendita economica ottenuta grazie al Governo settario del precedente Primo Ministro Al Maliki e le tribù dell'Iraq occidentale, a prevalenza di confessione sunnita, pretenderanno una vera co-gestione del Paese.
Per quanto riguarda invece il mondo arabo, la pubblicistica recente ci ha abituati a considerare le suddette contrapposizioni come costanti nella storia ma questo è un errore di prospettiva. Non si può negare che, nei secoli, abbiano avuto luogo varie guerre tra le confessioni, ma si è sempre trattato di lotte di potere tra elite concorrenti e, finiti i conflitti e superate le appartenenze forzose dovute alla guerra, i normali cittadini non hanno mai avuto problemi a vivere uno vicino all'altro.
I più importanti fattori identitari per gli arabi mesopotamici furono sempre le appartenenze tribali (nakhwa) ove non contavano religione o etnia. Soprattutto fuori dai grandi agglomerati urbani, la solidarietà era di tipo prettamente "laico" ed etico e nelle tribù, era scontato che il "sodale" andasse protetto e difeso in qualunque circostanza, avesse lui torto o ragione. Anche nelle città, comunque, era frequente che vicini di casa appartenessero a confessioni diverse ed esisteva una reciproca tolleranza, se non addirittura una totale indifferenza. Il prevalere dell'identità tribale costituì la base della società irachena fino circa alla fine del 1800 e fu superata solo a causa dell'invasione britannica che creò, per la prima volta e in funzione anti-straniero, un sentimento che oggi chiameremmo di "patriottismo nazionale". Il nuovo senso di appartenenza divenne evidente con la nascita dello Stato Iracheno creato, pur sotto "protezione" britannica, nel 1921. Fu allora che l'identità nazionale divenne più forte e si sovrappose quasi del tutto alle precedenti fedeltà tribali. Tutte le tribù cominciarono a interloquire direttamente con il Governo centrale, di cui riconoscevano l'autorità, mentre mantenevano, ma soltanto a livello più basso, un sentimento di appartenenza locale comunque slegato dalla professione religiosa. E' bene ricordare che negli anni tra il ‘21 e il ‘58 su ventitré primi ministri, dodici furono sunniti, quattro sciiti, quattro curdi, due cristiani e un turcomanno.Fu esasperando quella logica lottizzatoria che si mosse il Primo Ministro Al Maliki e, poco per volta, iniziò a escludere dal potere reale i rappresentanti delle tribù sunnite. Ogni ministro e ogni funzionario dello Stato, lungi dal rispondere a un interesse nazionale, distribuiva nomine, investimenti e tangenti (tantissime) solo ai membri della sua stessa appartenenza confessionale e, all'interno di questa, privilegiando la sua tribù d'origine.

Anche sull'onda dei moti di piazza alcuni ministri sono stati sostituiti ma la battaglia è ancora lunga e non è per niente certo che Al Abadi riuscirà nel suo intento. A tutt'oggi, la maggior parte dei ministri risponde ancora al proprio gruppo piuttosto che al Primo Ministro o allo Stato e, se la battaglia contro le lottizzazioni religiose non prevarrà, la divisione del Paese potrebbe divenire ineluttabile. Ne potrebbero gioire i curdi, sempre che Iran, Turchia e Usa dovessero permetterlo (cosa molto improbabile). Si aprirebbero però nuovi contenziosi sui confini di tutti i Paesi dell'area medio orientale con conseguente instabilità diffusa ed esiti potenzialmente drammatici.
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