"Abbiamo bisogno di segnali chiari da Ungheria e Polonia oggi o al più tardi domani. Se non li avremo, probabilmente dovremo passare allo scenario B", ha spiegato a Reuters una fonte dell'Unione Europea.
Tra le opzioni legali che consentirebbero a Bruxelles di andare avanti senza il via libera di Varsavia e Budapest c'è la creazione di una replica dell'accordo. Quindi è necessario ottenere garanzie da altri Stati membri in modo che l'organizzazione possa emettere un debito simile al cosiddetto strumento contro la disoccupazione (SURE).
Un'altra alternativa sarebbe creare un accordo intergovernativo, cosa che richiederebbe più preparazione e più tempo. La terza opzione consisterebbe nella cosiddetta cooperazione rafforzata: in questo caso basterebbe l'approvazione della replica del documento da parte di soli nove Paesi per sbloccarlo.
E, nel caso in cui venga sbloccato il fondo di recupero ma non il bilancio dell'UE, Bruxelles non avrà altra scelta che estendere il bilancio 2020 e spendere solo un dodicesimo dei conti ogni mese. Ciò comporterebbe tagli fino a 30 miliardi di Euro. Allo stesso modo impedirebbe di impegnare pagamenti per programmi che richiedono il rinnovo della base giuridica, come - tra gli altri - il nuovo programma Salute o Erasmus.
Il veto, una spina nel fianco dell'UE
Il 26 novembre il Primo Ministro ungherese Viktor Orban e il suo omologo polacco, Mateusz Morawieski, hanno ribadito il loro veto alla clausola che collega il trasferimento di fondi dall'Unione Europea ai principi dello Stato di diritto.
I politici hanno annunciato attraverso una dichiarazione congiunta che il meccanismo di condizionalità proposto da Bruxelles suppone invece "un indebolimento dello Stato di diritto", poiché "lo degrada a strumento politico".
Sottolineano inoltre che questa misura "viola il Trattato, applica definizioni vaghe e termini ambigui senza un criterio chiaro su cui basare le sanzioni e non contiene garanzie procedurali significative".
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