In verità, anche in passato Trump aveva espresso la sua intenzione di far rientrare tutti gli americani dall’Afghanistan già prima di Natale, ma sin dall’inizio si era capito che si trattava solo di parole al vento. Anche in base all’accordo con i talebani gli americani dovrebbero lasciare l’Afghanistan entro la fine della primavera del prossimo anno.
Ma del resto non è niente di serio, no? Alla fine gli americani non se ne andranno in ogni caso: adesso riducono il contingente, ma poi lo ripristineranno. Gli americani dispongono già di centinaia di basi in tutto il mondo (Washington parla persino di una presenza in 177 Paesi). Cos’è in confronto il rimpatrio di soli 2.000 soldati da 2 Paesi musulmani?
Ma è proprio questa la questione: non si tratta soltanto della riduzione di un contingente, ma delle premesse che portano alla conclusione della operazione militare più lunga della storia contemporanea, ossia la guerra degli USA in Medio Oriente. La guerra afghana continua da ben 19 anni e al suo culmine il contingente USA contava circa 100.000 soldati. La guerra irachena, invece, è iniziata 2 anni dopo, ma ha avuto una portata maggiore con la presenza di 250.000 soldati solo americani senza contare anche gli alleati. In realtà, i presidenti americani (Bush, Obama, Trump) hanno più volte annunciato la fine di questa missione militare. Ma non sono riusciti a rimuovere completamente le truppe. Perché?La risposta più semplice (perché non lo vogliono fare) non è corretta. Chi non vorrebbe? Trump stesso voleva rimpatriare gli americani presenti in Afghanistan e ha persino siglato una “capitolazione”, ossia un accordo con i talebani (con la disapprovazione dei collaborazionisti di Kabul). Tutt’oggi queste decisioni a metà strada scatenano l’indignazione sia di Washington sia della NATO.
Il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, già prima della dichiarazione ufficiale del Pentagono, scriveva che “la rimozione rapida delle truppe americane dall’Afghanistan oggi danneggerebbe i nostri alleati e farebbe felici coloro i quali ci vogliono male. Un tale scenario ricorderebbe l’umiliante ritirata degli americani da Saigon nel 1975”.
Di particolare rilievo è, però, la reazione dei membri europei della NATO e, soprattutto, della Germania dalla quale Trump è riuscito a ritirare parte del contingente americano. Prendiamo ad esempio un articolo sul sito di Deutsche Welle che reca un titolo propagandistico “Il ritiro delle truppe da Afghanistan e Iraq: una irresponsabile decisione di Trump” e relative conclusioni:
“Lo scoordinato ritiro delle truppe americane è uno schiaffo in faccia degli alleati degli USA. Anzitutto per la NATO che dopo l’11 settembre, per sostenere gli USA, ha attivato per la prima volta il principio di autodifesa collettiva che consente di prestare aiuto a un alleato nel caso di attacco militare ad opera di terza parte. E ora è proprio il presidente USA a violare quella regola ferrea invece di cominciare e terminare insieme l’operazione, invece di entrare e uscire dal Paese insieme. I partner NATO in Afghanistan dipendono dal supporto logistico statunitense. Se il Paese più importante non si attiene agli accordi, la NATO non ha futuro. Trump ritirerà le truppe nonostante i consigli dei suoi generali e dei principali esponenti repubblicani. Perché questa decisione venga ripresa in esame, Biden dovrà dedicarci molte energie. E da qui al 20 gennaio potrebbero succedere ancora molte cose. Dopo la dichiarazione del ritiro delle truppe non vi sono più dubbi sul fatto che Donald Trump non avrà scrupoli nel tentativo di compiacere i suoi sostenitori e mantenerli uniti anche dopo la fine del suo mandato presidenziale”.
Infatti, ritirare le truppe significa non avere scrupoli. La guerra è pace, la pace è guerra. Ma non è forse che l’irresponsabilità di Trump potrebbe far sì che poi gli USA siano costretti a fuggire dall’Afghanistan così come accadde in Vietnam e morirebbero moltissimi validi soldati americani? Ma i berretti verdi lasciarono il Vietnam molto prima della caduta di Saigon e quella guerra costò la vita non solo a 50.000 americani, ma anche a un numero ben maggiore di vietnamiti (ancora oggi non si conosce il numero esatto di vittime).
Ma questa non ha alcun legame né con l’America né con l’Afghanistan.
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