Stando ai dati riportati dall’ONG, in 20 mesi il conflitto ha tolto la vita a 1850 persone. L’ONG ritiene che “la soluzione risieda nel dialogo e nel consenso”.
In 20 mesi di conflitto armato nel sud-ovest e nel nord-ovest del Camerun “vi sono stati 1850 morti, 530000 sfollati interni e decine di migliaia di profughi”.
Nel rapporto del 2 maggio sulla crisi nella regione anglofona del Camerun, l’ONG International Crisis Group (ICG), specializzata nella prevenzione dei conflitti, lancia un segnale d’allarme.
I dati del rapporto riflettono le dinamiche di sviluppo della crisi politica e sociale scoppiata nell’ottobre del 2016. Le richieste iniziali di avvocati e insegnanti col tempo sono diventate vere e proprie richieste separatiste.
“In soli 20 mesi per via del peggioramento della situazione nelle regioni anglofone del Camerun il numero dei morti civili e militari è comparabile a quello delle vittime fatte da Boko Haram in 4 anni. Si tratta di un record nella storia contemporanea del Camerun. Le truppe governative non riescono a fermare le implacabili milizie separatiste”, commenta in un’intervista a Sputnik Joseph Lea Ngoula, esperto di sicurezza.
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L’ONG è giunta alla conclusione che bisogna al più presto adottare l’approccio “del dialogo e del consenso”. Ma non vi saranno negoziati senza che entrambe le parti facciano passi indietro in grado di ripristinare la fiducia reciproca e interrompere il perpetrarsi di violenze.
“È auspicabile che il governo camerunense sostenga l’idea di una conferenza anglofona universale alla quale i rappresentanti delle regioni anglofone possano indicare chi le rappresenterà in caso di dibattiti a livello nazionale. In tal modo, i sostenitori anglofoni dell’unità del Paese potranno esprimere la loro opinione”, raccomanda l’ONG.
Ricordiamo che nel 2018 hanno cominciato a organizzare la conferenza anglofona universale alcuni leader religiosi guidati dal cardinal Christian Tumi. Sono giunti alla conclusione che le soluzioni fino ad allora proposte per la risoluzione della situazione nelle regioni anglofone del Camerun fossero state inconcludenti e speravano che durante quest’incontro venissero discusse altre possibilità per uscire dalla crisi. La conferenza non si è tenuta per la mancata concessione dei permessi ufficiali da parte del governo. In un’intervista rilasciata a Sputnik il politologo Moussa Njoya commenta questi provvedimenti:
“La pressione che viene esercitata dall’esterno sul governo camerunense potrebbe finalmente contribuire all’organizzazione di questa conferenza. Nel 2018 il governo ha fatto di tutto perché non si tenesse la conferenza. Ed è riuscito anche a fare in modo che il cardinal Christian Tumi venisse sospettato di favoreggiamento dei separatisti.
Secondo l’ONG, è importante che il presidente Paul Biya dimostri di essere intenzionato a pacificare i blocchi contrapposti:
“Sarebbe opportuno che in un discorso di riconciliazione il presidente del Camerun ammettesse la presenza di una situazione problematica nelle regioni anglofone del Paese e la legittimità delle richieste di questa fetta di popolazione. Inoltre, dovrebbe avviare le dovute indagini circa le violazioni perpetrate dalle forze dell’ordine, prevedere dei rimborsi per le vittime di queste violazioni, prendersi la responsabilità di ricostruire i villaggi distrutti, difendere la libertà di centinaia di attivisti anglofoni al momento in prigione (fra i quali vi sono anche rappresentanti del movimento separatista)”, raccomandano gli autori del rapporto.
L’ONG fa raccomandazioni anche per i separatisti:
“È auspicabile che i separatisti rinuncino alla propria strategia delle città morte di lunedì e al boicottaggio delle scuole e che escludano dalle proprie fila combattenti responsabili di crimini contro i civili”.
Proprio queste sono le proposte che avanzano molti membri della popolazione civile. Secondo loro, azioni simili sono il presupposto per il dialogo tra i blocchi contrapposti. Moussa Njoya spiega:
“Nell’attuale situazione tesa dal punto di vista sociale e politico, il governo camerunense potrebbe dimostrare un po’ di buona volontà. Per disinnescare la situazione, potrebbe rimettere in libertà molte personalità che hanno partecipato alla crisi come Mancho BBC, Ayuk Tabe e altri leader anglofoni arrestati a partire dal 2017.
Sarebbe buona cosa se la maggioranza dei separatisti gettasse le armi e si avviasse verso la normalizzazione del conflitto. Ma, com’è noto, molti ci guadagnano dal conflitto: rapiscono persone e chiedono un riscatto, impongono tasse ai civili. Nei territori colpiti dalla crisi i combattenti si impossessano di automobili e case in nome della lotta comune”, constata Moussa Njoya.
Gli autori del rapporto non si limitano alle raccomandazioni e invitano la comunità internazionale ad imporre una serie di sanzioni contro chi non sia intenzionato a dialogare:
“È auspicabile che l’Unione europea e gli USA prendano in considerazione l’imposizione di sanzioni contro gli alti funzionari e ufficiali che continuano ad ostacolare il dialogo (divieto di lasciare i confini, congelamento delle proprietà), nonché contro i separatisti che sono a favore della violenza e creano le condizioni perché proliferi (procedimenti penali). Sarebbe buona cosa se il Tribunale penale internazionale avviasse delle indagini preliminari sulle violazioni commesse da membri di entrambi i blocchi con l’obiettivo di dimostrare che il protrarsi delle violenze avrà conseguenze giuridiche”, propone l’ONG.
Quanto alle pressioni che la comunità internazionale potrebbe esercitare sul Camerun più di quanto non stia facendo oggi, l’esperto di sicurezza Joseph Lea Ngoula osserva che si potrebbero coinvolgere le autorità camerunensi per risolvere la situazione di altri partner ad oggi ignorati, come Russia e Cina.
“Nel rapporto il ruolo dei partner occidentali viene sottolineato con attenzione. Sembrerebbe, però, che gli autori del rapporto si fossero dimenticati di Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Nei prossimi mesi entrambe queste nazioni svolgeranno un ruolo attivo nella risoluzione della questione camerunense in sede ONU. Sembra che Yaoundé veda in essi degli alleati e che si affidi sempre di più a loro per contrastare le pressioni esercitate dalle nazioni occidentali. È altamente probabile che Yaoundé inviti entrambi i Paesi e a compensare la riduzione degli aiuti forniti dai Paesi occidentali e ad opporsi all’inclusione della questione camerunense nell’ordine del giorno del Consiglio di sicurezza. Probabilmente, alla Russia piacerà svolgere questo ruolo. Dopotutto, la Russia desidera ripristinare le sue posizioni in Africa”, osserva Joseph Lea Ngoula.
“Continuiamo a sperare che il governo camerunense e i partner impegnati per lo sviluppo del Paese prestino attenzione al contenuto del rapporto. È sempre possibile trarre insegnamenti da documenti di questo tipo. Per questo, mi dispiaccio della reazione contenuta del governo camerunense ogni volta che viene pubblicato un rapporto che invita a mantenere l’ordine. Sarebbe meglio se il governo ne traesse il meglio e ignorasse ciò che, a suo parere, non corrisponde alla realtà. Tutto dipende dalla volontà delle autorità di Yaoundé, ma in tal senso sono pessimista”, ha concluso Moussa Njoya.
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