Chi emette, paga
Verso la fine del secolo la temperatura atmosferica media sulla Terra crescerà di più di un grado Celsius e mezzo rispetto ai livelli della fine del XIX secolo. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) ritiene tale sviluppo molto verosimile e anzi inevitabile. Il riscaldamento globale porterà a sostanziali cambiamenti a livello di biosfera, all'innalzamento dei livelli dell'oceano e a serie conseguenze per l'umanità.
La relazione pubblicata di recente dall'IPCC è dedicata ai modi per evitare questo scenario e, se proprio non sarà possibile, a come adattarsi a questi cambiamenti. Il problema è che le possibilità di adattamento non soddisfano tutti. Molte persone saranno private delle loro case, delle loro terre e del loro stile di vita. Per questo, i politici dei Paesi maggiormente sensibili al cambiamento climatico invitano a intraprendere le misure necessarie sin d'ora.
La maggior parte degli scienziati sostiene che l'obiettivo principale è ridurre le emissioni di gas a effetto serra e, idealmente, eliminarle. Come misure complementari si propone l'impiego di tecnologie per rimuovere l'anidride carbonica in eccesso dato che a produrre la maggiore quantità di questo gas a effetto serra è il settore industriale. In casi estremi, si può pensare a soluzioni ingegneristiche che, ad esempio, deviino parzialmente i raggi solari dalla Terra in modo tale da compensare l'effetto serra. Le sperimentazioni ingegneristiche sul clima non sono ancora cominciate e difficilmente vi si ricorrerà nel prossimo futuro. Mentre le tecnologie per la "purificazione" dell'atmosfera dalla CO2 sono in funzione già da una trentina d'anni. E a queste nella relazione dell'IPCC è riservata particolare attenzione. Si sottolinea che queste tecnologie sono applicabili in qualsiasi lotta al riscaldamento globale. Gli scienziati non hanno dimostrato la loro efficacia, dunque è rischioso affidarvisi, ma questo non è un motivo per tirarsi indietro.Il sottosuolo è la soluzione
L'azienda svizzera Climeworks ha avviato in Italia uno stabilimento per l'eliminazione della CO2 dall'atmosfera.
Turbine giganti pompano l'aria attraverso dei filtri che separano l'anidride carbonica. Contemporaneamente una cella elettrolitica alcalina riceve 240 m3 di idrogeno all'ora utilizzando le eccedenze di energia dei pannelli solari. Poi con la CO2 e l'idrogeno si produce del metano liquido che viene impiegato come carburante per i camion.
Gli scienziati controllano il deposito sotterraneo Sleipner da più di 20 anni analizzandone forma e dimensioni grazie all'ausilio di metodologie geofisiche. Dal 2014 in questo deposito arrivano anche i gas del giacimento Gudrun. Nel deposito si trovano ormai decine di milioni di tonnellate di CO2. Lo strato di rocce impermeabili scongiura il rischio di perdite.
L'opposizione delle comunità locali
Nel 2012 in Germania fu approvata una legge che permette la costruzione di depositi sotterranei di gas a effetto serra. Ma cominciarono le proteste e i politici fecero marcia indietro. Per la medesima ragione anche il nuovo deposito di Halten in Norvegia è giunto a un punto morto.
Interessante, ma costoso
La gente teme che i gas conservati nel sottosuolo fuoriescano in superficie provocando una contaminazione di massa e altre gravi conseguenze.
L'impiego di depositi sotterranei di gas è ostacolato da tre fattori: il prezzo, la mancanza di infrastrutture e il fatto che bisogna aspettare decine di anni per vedere dei risultati. Per ora questa tecnologia è accessibile solamente per le grandi società di estrazione e comunque serve il sostegno dello stato.
Ad esempio, Climework propone di immettere anidride carbonica a una profondità di un chilometro sotto le rocce di basalto dell'Islanda. Le sperimentazioni hanno, infatti, dimostrato che in due anni il gas si trasforma in minerali. In tal modo, il rischio di eventuali perdite dal deposito è scongiurato. Ma è il costo elevato a complicare la realizzazione di questo progetto.
Uno stabilimento per la cattura di CO2 può essere vantaggioso se collocato vicino a una grande centrale termoelettrica a carbone. Ma in molti casi è più conveniente passare al gas naturale. È molto più interessante se la cattura di CO2 viene effettuata a partire da un impianto a biomassa perché questo garantisce la cosiddetta "emissione negativa".
In pratica, con la combustione della biomassa, cioè degli scarti delle industrie alimentare, agricola e di lavorazione del legno, non si aumenta la quantità di gas a effetto serra nell'atmosfera. Semplicemente ritorna in circolo la CO2 utilizzata dalle piante per la fotosintesi. Se si catturano queste emissioni, l'equilibrio naturale va in negativo e si verifica una piccola compensazione perché l'emissione proviene dalla combustione di un carburante.
L'anidride carbonica può anche essere inserita nei giacimenti di petrolio o di gas per aumentare il loro rendimento quando sono vicini all'esaurimento. Ma non è un metodo efficace. È decisamente più vantaggioso in questi casi utilizzare dell'azoto o apposite miscele che non si diluiscono negli idrocarburi e li portano in superficie.Dall'anidride carbonica catturata si cerca anche di ricavare dei carbonati, un processo conveniente e non complicato tecnologicamente. Il problema è che non si sa dove mettere né i carbonati né l'anidride carbonica. Conservarli nelle discariche è oggi un'idea opinabile.
Controversa è, inoltre, la proposta di conservare l'anidride carbonica liquida sul fondo dell'oceano.
Al momento le previsioni meteorologiche sono molto imprevedibili. La temperatura media globale è aumentata di circa 1 grado in un secolo e mezzo. Cosa succederà tra 30, 50 o 80 anni? Un altro grado e mezzo o 3 gradi? Il futuro della cattura e della conservazione dei gas a effetto serra sarà definito una volta che si farà chiarezza sulla questione climatica. Gli esperti prevedono un impiego su larga scala di queste tecnologie entro il 2070.
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