I Paesi occidentali, come la Germania, sono abituati a gioire dei prezzi bassi del petrolio, che venivano accettati con estrema soddisfazione. Tuttavia ora stanno cominciando a rendersi conto che la destabilizzazione economica globale inizia a spingere sui fianchi, scrive "Frankfurter Rundschau".
I prezzi delle materie prime determinano non solo il reddito di milioni di persone, ma da loro dipende il destino dei governi e l'equilibrio politico in regioni come l'America Latina e l'Africa. Il petrolio così economico potrebbe fomentare il malcontento nei Paesi già fragili e creare nuove aree di escalation e crisi nell'arena internazionale, scrive la rivista.
Paesi dipendenti dal prezzo degli idrocarburi, del rame e della soia sopportano molto difficilmente la crisi. Ad esempio i "giganti africani", come il Sudafrica e la Nigeria, stanno subendo enormi perdite economiche e trascinano nel baratro il resto del continente.
Preoccupate per il rischio del collasso dell'economia nazionale, le persone tendono a migrare verso l'Unione Europea, nonostante la crisi dei profughi stia già minando la prosperità e la stabilità delle nazioni "ricche".
Sotto la pressione dei bassi prezzi delle materie prime, si verifica una destabilizzazione di massa proprio di quelle regioni da cui arriva in Occidente la maggior parte degli immigrati, pertanto un fattore molto positivo come il basso prezzo della benzina può trasformarsi in un beneficio trascurabile rispetto ai danni di nuove ondate di migrazione, si osserva nell'articolo.
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