Due imprenditori sono stati arrestati dal nucleo dei carabinieri dell'Ispettorato del lavoro e della Compagnia di Mantova, per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Contrattavano in nero e li facevano lavorare per un monte ore superiore rispetto a quello previsto dalla legge.
Gli operai lavoravano senza alcun diritto previsto dallo Statuto dei lavoratori e dalla normativa in materia. I titolari li definivano "macchine da lavoro", come emerso dalle intercettazioni.
Sempre nel mantovano, pochi giorni prima, altri quattro imprenditori del settore vestiario, di origine cinese, sono stati arrestati per sfruttamento di lavoratori irregolari e clandestini, durante un blitz in due stabilimenti di Marmirolo.
L'inchiesta "Work Machine", condotta dai carabinieri, che ha portato a 35 arresti durante l'inizio dell'anno, ha svelato un vero e proprio "circuito di sfruttamento", all'interno del quale i lavoratori venivano spostati, a seconda delle necessità degli imprenditori, e "affittati" ad altri datori di lavoro. Il sistema era radicato anche nelle province di Parma, Cremona, Verona e Vicenza.
Il caporalato
Il sistema del caporalato, una forma di intermediazione illecita che espone i lavoratori a gravi forme di sfruttamento, era inizialmente ristretto ai settori dell'agricoltura e dell'edilizia e diffuso nelle regioni meridionali. Negli ultimi anni le indagini delle forze dell'ordine e l'attività dell'ispettorato del lavoro, hanno svelato una diffusione capillare del fenomeno, che ha preso piede anche nelle regioni del nord ed è stato mutuato anche in altri settori.
Non sono solo i lavoratori più vulnerabili, come gli stranieri irregolari, a subire questa forma di sfruttamento, ma anche lavoratori comunitari e italiani. Lo scorso 31 agosto un bracciante italiano era morto nei campi, per il troppo lavoro e il troppo calore.
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