E' durata 18 giorni la corsa di Marco Minniti alla segreteria del Pd. In meno di tre settimane ha presentato e, come annuncia in una intervista a Repubblica, ritirato il suo impegno in uno show down improvviso.
"Si è semplicemente appalesato il rischio che nessuno dei candidati raggiunga il 51 per cento. E allora arrivare così al congresso dopo uno anno dalla sconfitta del 4 marzo, dopo alcune probabili elezioni regionali e poco prima delle europee, sarebbe un disastro", afferma l'ex ministro dell'Interno. "Io lo faccio solo per il Pd. So che c'è il rischio di deludere chi ha deciso di concedermi un affidamento. Ma ci sono momenti in cui bisogna assumersi delle responsabilità personali. Per troppo tempo il partito si è adagiato su uno specchio deformato in cui ci si chiedeva ‘che faccio io?' Un eccesso di personalizzazione. Ma il destino di un partito non può essere legato alle singole persone".
Ma forse il dato determinante è che Renzi non ha mai speso una parola in questi giorni per smentire la scissione? "Le scissioni — risponde Minniti — sono sempre un assillo. Sappiamo perfettamente che il Pd ha pagato un prezzo durissimo. Ha pagato un prezzo altissimo a congressi cominciati e mai finiti. Spero che non ci sia alcuna scissione, sarebbe un regalo ai nazionalpopulisti".
Nel Pd molti definivano "renziana" la sua candidatura.
Indebolire il Pd significa indebolire la democrazia italiana.
Mai come adesso rischiamo uno slittamento. Mai come adesso le differenze tra i partiti sono tanto nette". Come negli anni che hanno preceduto il fascismo? "La storia non si ripete mai nella stessa forma. Ma è vero che dal '48 in poi mai la differenza sul modello di società e sui valori è stata così ampia".
Fonte: askanews
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