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Kazem Jalali, ambasciatore della Repubblica Islamica di Iran nella Federazione Russa, in esclusiva per Sputnik.
In occasione dell’anniversario della morte del generale Qasem Soleimani che lottò contro il terrorismo e l’estremismo, in alcuni social network come Facebook e Instagram i quali si basano su piattaforme statunitensi registriamo la più completa ignoranza delle proprie responsabilità e la mancata garanzia da parte di queste piattaforme della libertà di espressione e del diritto di partecipazione di chiunque all’espressione della propria opinione.
Gli Stati Uniti hanno perpetrato un crimine che è stato oggetto di condanna dalla comunità internazionale e ora stanno sfruttando tutti i mezzi a loro disposizione per insabbiare il loro crimine. Il controllo sui social network è uno di questi mezzi. In questi giorni in cui i sostenitori del generale desideravano caricare su questi social foto o video che lo raffiguravano, si sono visti bloccare l’account dopo aver ricevuto un messaggio di avviso. Questi video o foto rientrano solitamente nell’alveo del regolamento stabilito da questi social network e non denotano la benché minima violazione di tali norme. Ma il problema è questo: così si fa in modo che i miliardi di utenti della comunità internazionale riescano a fruire solo dei contenuti che sono approvati dal governo USA.
La politica del diktat tacito, adottata dal governo statunitense nei confronti dei media e dei social, è ormai un fenomeno evidente. Tutti i social, la radio e la televisione che adottano una politica diversa da quella prestabilita dal governo stanno affrontano negli ultimi anni una molteplicità di problemi. I loro uffici vengono chiusi, i collegamenti satellitari interrotti. Vengono avviati procedimenti giudiziari ai loro danni oppure comminate improbabili sanzioni.
Tenendo conto di questi elementi vanno interpretati gli sforzi dei governi indipendenti per accedere alle infrastrutture di comunicazione e il dissenso dell’Occidente al concedere l’accesso a queste conoscenze e tecnologie. Il fatto che le giovani generazioni e i ricercatori dei Paesi in via di sviluppo vengano privati della possibilità di formarsi e di fare ricerca in alcune aree del sapere umanistico indica che l’imposizione di tale apartheid scientifico-tecnologica rende più difficoltoso l’accesso a queste tecnologie e costringe i cittadini internazionali a subire il contesto creato dall’Occidente, guidato dagli USA.
La creazione di restrizioni per un pubblico il cui orientamento intellettuale e le cui opinioni differiscono dalle politiche dei social network e dei media americani dimostra chiaramente che gli slogan di libertà dei media e di diritti identitari non sono che delle menzogne poiché le dirigenze di detti media non applicano in alcun modo tali principi. È sorprendente che questi stessi Paesi per contrastare regimi non in linea con i loro interessi creino media i quali si rifiutano di applicare le benché minime norme regolamentari di settore e non si pongono altro obiettivo se non quelli di fomentare l’odio e la violenza e di favorire lo scoppio di crisi nei Paesi indipendenti forti nell’ambito di tale ruolo distruttivo del pieno supporto materiale, tecnologico e giuridico dell’Occidente.
Gli Stati Uniti hanno tradito la libertà più di qualunque altro Paese.
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