Sono almeno 183 i costituzionalisti che hanno prodotto il documento intitolato "Le ragioni del nostro NO al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari". Secondo loro, “la riforma svilisce, innanzitutto, il ruolo del Parlamento e ne riduce la rappresentatività, senza offrire vantaggi apprezzabili né sul piano dell’efficienza delle istituzioni democratiche né su quello del risparmio della spesa pubblica”.
Altri loro colleghi hanno invece individuato numerose ragioni tecnico-giuridiche per votare Sì.
— Prof. Curreri, perché Lei non si è schierato né per il Sì né per il No, come hanno fatto la maggior parte dei Suoi colleghi-costituzionalisti?

— A Suo avviso, quali effetti potrebbe produrre la riduzione del numero dei parlamentari sull'organizzazione e sul funzionamento delle Camere?
— Nel passato ci sono stati almeno sette progetti di riforma costituzionale che hanno previsto il taglio dei parlamentari rispetto agli attuali 630 deputati. Come la proposta del M5S, che è stata in effetti l’unica ad arrivare fino alla fine, è diversa da quelle precedenti?
— Come dicevo, perché tutte le altre proposte di riforma costituzionale avevano ad oggetto la revisione delle funzioni delle nostre due camere, assegnando alla sola Camera dei deputati natura politica e trasformando piuttosto il Senato in camera di rappresentanza delle autonomie territoriali, come è in Spagna o in Germania, così da avere una sede istituzionale di raccordo dopo le ampie autonomie attribuite alle Regioni dopo la riforma del Titolo V del 2001. La riduzione quindi era conseguenza della diversificazione delle funzioni.
— Per promuovere la sua riforma il M5S spesso fa riferimento all'esperienza di altri paesi europei. Esiste uno standard suggerito sul rapporto tra i parlamentari e la popolazione?
— C’è chi ci ha provato con complesse analisi aritmetiche (penso agli studi del politologo estone Taageepera e dei francesi Auriol e Gary-Bobo) ma ogni paese ha le sue particolarità. E quando si fanno tali comparazioni bisogna stare attenti alle diverse forme di Stato e di governo, altrimenti si rischia di paragonare pere con mele. Ciò premesso, è certo però che la riduzione ci avvicina al rapporto tra popolazione e parlamentari eletti esistente in Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna che sono le democrazie parlamentari a noi più prossime. Il punto è che in questi paesi i parlamentari elettivi si concentrano in una sola camera; da noi invece i 600 parlamentari eletti si divideranno in due camere. E quindi ritorniamo al tema del nostro bicameralismo perfetto.
— Il dibattito che si è generato in Italia esiste altrove?
— Il «germanicum» arriverà in aula alla Camera il 28 settembre. A Suo avviso, la vittoria del Sì potrebbe allontanare la nuova legge elettorale?
— Premesso che cambiare la legge elettorale è stato, è e sarà sempre difficile perché ogni partito guarda al proprio particolare interesse, credo all’opposto che la vittoria del Si, con riduzione dei parlamentari e conseguente innalzamento della soglia di sbarramento implicita (meno seggi = più voti per aggiudicarseli) obblighi di contro le forze politiche a trasformare il nostro sistema in interamente proporzionale se si vuole dare rappresentanza alle forze politiche di minoranza. Piuttosto spero che in quest’occasione si affronti il tema della selezione delle candidature perché i partiti non si sono dimostrati all’altezza del senso di responsabilità richiesto dalle liste bloccate.
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