Leggere la prima parte dell'intervista
– Qualche settimana fa Lei è stato tra i primi di mandare una allerta per avvertire i colleghi sulla possibile insorgenza di una malattia di Kawasaki in bambini affetti da Covid-19 e promuove una raccolta dati di questi casi. Quali sono i primi risultati di questa indagine?
– Credo che per ora siano 50 casi ma ne mancano ancora molti. Seconde me, siamo ancora alla metà. Quello che possiamo dire è che sicuramente c’è un’impressione di un aumento significativo della frequenza della malattia di Kawasaki, in particolare dove si è più diffuso il coronavirus come a Bergamo ma anche qui al Gaslini dove lavoro. Seconde le stime transitorie, nelle zone più colpite dall’epidemia i casi sono addirittura triplicati.

Comunque, fine maggio dobbiamo finire la raccolta dei dati, e a giugno li elaborammo e sapremo, quanti sono, che caratteristiche hanno, se sono simili alla malattia di Kawasaki classica oppure sono un po’diverse. Visto che sono stati fatti anche i test sierologici, sapremo anche quanti di loro possono essere associati al coronavirus.
– In attesa dei dati completi, si può, a Suo avviso, ipotizzare che la “nuova” malattia di Kawasaki è scatenata dal coronavirus?
– Dal punto di vista epidemiologico e visto che in due mesi viene osservato un'incidenza di 30 volte superiore rispetto agli ultimi 5 anni, è chiaro che c’è il rapporto tra il coronavirus e la Kawasaki. Per esempio, a Bergamo, che è stato l’epicentro del Covid-19 in Italia, è stato un vero e proprio “boom” dei casi. In più, una buona parte di bambini sono stati positivi al tampone o alla sierologia.
Però è importante anche sottolineare: è presumibile che il coronavirus non causi queste forme di Kawasaki con un effetto diretto ma è possibile che sia la reazione di difesa dell’organismo contro questo coronavirus. Come dimostrano i dati inglesi, c’è un mese di differenza tra i primi casi del Covid-19 e i primi casi della Kawasaki-Covid. E quindi, si pensa che sia una reazione immunitaria anomala a causare queste infiammazioni. Se fosse cosi, non sorprenderebbe che molti di questi bambini non abbiamo più i tamponi positivi, perché magari nel frattempo l’infezione è guarita. A mio avviso, a questo punto sarà più importante la sierologia che misura anticorpi, che organismo ha prodotto contro questo germe, e che rimangono nel tempo.– Come si svilupperà questa malattia nei prossimi mesi? E cosa accadrebbe, se il legame tra il Covid e la Kawasaki verrà confermato al livello scientifico?
– Noi prevediamo e presumiamo è che una volta che diminuiranno i casi del coronavirus, potrebbero anche diminuire e poi sparire i casi di Kawasaki anomala. Se si riuscisse a dimostrare che il coronavirus nei bambini può scatenare la Kawasaki, in un prossimo futuro ci consentirebbe da una parte di capire la causa di altre malattie infiammatorie croniche e di curare dall’altra i bambini con ‘Kawasaki da coronavirus’, magari con un vaccino o con le cure specifiche per coronavirus, e di prevenire che si manifestino queste forme di malattia.
Però per adesso sono le osservazioni interessanti, affaccianti ma comunque ipoteche, che saranno sicuramente oggetto di uno ampio studio internazionale. Devo dire che c’è un fortissimo interesse multinazionale, si stanno muovendo tutte le società scientifiche: ad esempio, la Società internazionale per la malattia antinfiammatoria e quella Europea della reumatologia pediatrica, tanti immunologi stanno raccogliendo i campioni. Il 2 maggio c’è stata una teleconferenza, a cui hanno partecipato più di 1800 pediatri di tutto il mondo proprio con lo scopo di scoprire il rapporto tra malattia di Kawasaki e coronavirus.
– Il Suo messaggio ai genitori. Nel frattempo possono essere tranquilli?
– Io come il medico dell’ospedale pediatrico di Genova e il responsabile del gruppo di reumatologia della Società italiana di pediatri, ho scelto di informare senza allarmare. I genitori devono naturalmente sapere, che anche se molto raramente, i bambini possono comunque sviluppare delle conseguenze serie causate dal Covid-19. Se ci sono dei sintomi, devono immediatamente contattare il medico della famiglia e se il pediatra lo ritiene, ricoverarsi in ospedale per fare la terapia. Come abbiamo detto, esistono le cure efficaci ma che sono tanto più efficaci, quanto più precocemente si iniziano. Consiglierei anche di non aver paura di portare i bambini in ospedale perché sono assolutamente sicuri, ci sono percorsi separati per Covid e non Covid. Dall’alta parte è importante di non creare un allarmismo eccessivo perché in Italia, come dicevo, tutti i bambini con la Kawasaki sono guariti nei tempi rapidi.I punti di vista e le opinioni espressi nell'articolo non necessariamente coincidono con quelli di Sputnik.
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