La crescita delle rinnovabili in Italia è ferma al palo. Ne è consapevole il nuovo ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani che, dopo il flop delle aste per le nuove capacità di produzione degli impianti eolici, punta a ridurre i tempi e le lungaggini per il via libera alle opere.
Procedure che dovrebbero durare 180 giorni e che a volte invece durano decenni. Un differenziale, quello con gli altri Paesi Ue, come Spagna e Germania, che si è andato allargando sempre di più dopo un iniziale vantaggio italiano sulle rinnovabili.
In vista della riscrittura del Recovery plan, in cui i progetti di transizione energetica rappresentano il 37% del totale dei fondi messi a disposizione dall'Unione europea, il lavoro da fare è impegnativo e Cingolani ha già fissato il suo obiettivo: dimezzare i tempi che passano tra la presentazione delle domande per i progetti green e l’avvio delle opere.
Un procedimento che potrebbe essere più semplice grazie alla decisione del premier Mario Draghi di assegnare le deleghe del settore energia, che erano state in capo al Mise, al suo ministero.
Le aziende che operano nel settore delle energie rinnovabili, infatti, lamentano da anni il doppio iter necessario per il via libera ai progetti: da un lato il passaggio al ministero dello Sviluppo economico, dall’altro quello al ministero dell’Ambiente. E spesso i piani si incagliano qui, per la valutazione di impatto ambientale.
Obiettivo 2030
Secondo gli obiettivi europei, entro i prossimi nove anni, la percentuale di energie rinnovabili nel mix di produzione energetica dovrà raggiungere il 33%, ma adesso l’Italia è ferma al 18%.
Inoltre, la sostituzione degli idrocarburi con l’energia verde servirà a raggiungere anche l’obiettivo del 55% di taglio della CO2 entro il 2030 rispetto ai dati del 2020.
Tutti dati ancora distanti dal mix energetico italiano che lo scorso anno ha visto il 57% delle energia prodotta provenire da fonti fossili, gas naturale in primis.
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