Mosca deve poi confrontarsi anche con altri esportatori concorrenti quali Iraq, Brasile, Angola. Persino gli USA, nonostante il conflitto economico in corso, stanno attivamente coltivando gli scambi nel settore. Sputnik cerca di stimare il livello di rischio che tale situazione può generare per gli interessi nazionali russi.
Il pomo nero della discordia
Russia e Arabia Saudita sono i maggiori produttori ed esportatori di greggio che concorrono tra di loro con successi alternati. Questa volta il Regno saudita ha fatto ricorso al dumping, cioè la riduzione artificiale dei prezzi.
“Dopo che Mosca all’incontro primaverile dell’OPEC+ si è rifiutata di ridurre le estrazioni, i sauditi hanno offerto uno sconto senza precedenti a tutte le regioni con cui intrattengono scambi, ivi compresa la Cina. La Cina ha sfruttato lo sconto senza farselo ripetere due volte”, spiega Irina Aydrus, docente dell’Istituto di economia e imprenditoria globali presso l’Università dell’amicizia tra i popoli (RUDN).
“L’economia cinese si sta riprendendo a ritmi molto buoni e la domanda di greggio è in costante aumento. Presto si concluderà la costruzione di 4 raffinerie la cui potenza complessiva supera il milione di barili al giorno. La popolazione intanto sta per raggiungere il miliardo e mezzo di persone”, osserva Oleg Kalenov, docente di Economia industriale presso l’Università russa Plekhanov di Economia. “Pertanto, il consumo di greggio all’interno della Cina sta aumentando. Una quota considerevole di quest’energia è destinata alla produzione di plastica”.
Inoltre, sulla scorta dell’accordo siglato con Washington Pechino è tenuta ad aumentare le importazioni di risorse energetiche del 2021 di circa 34 miliardi di dollari, ossia raddoppiarle rispetto al 2020, ricorda Irina Aydrus.
Mirino puntato sul mercato asiatico
Nonostante le divergenze politiche ed economiche, gli americani hanno triplicato le esportazioni raggiungendo quota 19,76 milioni di tonnellate. “Tuttavia, il greggio russo risulta comunque meno caro alla Cina per via dell’oleodotto Siberia orientale-Oceano Pacifico e grazie ai porti collegati alle raffinerie cinesi”, precisa Kalenov.
In generale, gli economisti non hanno individuato sul mercato cinese particolari rischi per la Russia. Ma non sarà possibile privare gli esportatori sauditi della loro quota di esportazioni.
“I sauditi si sono assicurati un vantaggio soltanto temporaneo che riguarda i volumi di fornitura più che i ricavi totali. E questo per via del dumping. Anche la Russia avrebbe potuto concedere uno sconto e ridurre lo scarto competitivo, ma in questo modo l’erario non avrebbe ricevuto fondi a sufficienza”, spiega Petr Pushkarev, economista del centro di analisi e informazione TeleTrade.
Tra l’altro, le entrate russe si sono ridotto anche senza concedere sconti. Tra gennaio e novembre si registra un calo del 41%, fino a 66,4 miliardi di dollari. Questi sono i dati della Direzione federale delle Dogane. Il fenomeno è dovuto alla riduzione dei prezzi e del costo delle esportazioni, osserva Aydrus.
La quota di bilancio relativa ai proventi derivanti dalla vendita di prodotti gasiero-petroliferi si è ridotta del 14% battendo di fatto un minimo storico. Tuttavia, rimane il problema di uscire dalla dipendenza dal greggio.
Persino durante la crisi l’estrazione e la vendita di idrocarburi si sono rivelate attività estremamente profittevoli. Pertanto, gli ambiti diversi da quello gasiero-petrolifero appaiono meno attraenti per gli investitori.
Questo fenomeno può essere risolto aumentando le imposte da scontare sul settore e favorendo una redistribuzione dei proventi, sostengono gli economisti.
Petrolio per la vita
Nel 2020 la Russia è stata salvata dal cuscinetto di riserve auree che in un anno ha persino registrato un aumento di 40 miliardi di dollari. “I proventi delle società petrolifere russe in rubli per via del cambio sfavorevole e a causa dell’elevato prezzo della benzina sul mercato interno hanno contribuito a mantenere saldi i prezzi del greggio destinato all’esportazione. Purtroppo sono stati sacrificati in parte i volumi”, spiega Pushkarev.
Ora il tempo degli sconti è passato, la domanda globale di petrolio è in ripresa. Il FMI prevede che i prezzi medi registrino un aumento nel 2021 del 20% rispetto al 2020.
Ad ogni modo gli analisti non ritengono che i concorrenti presenti sul mercato degli idrocarburi costituiscano una minaccia per la Russia.
I ritmi di crescita della produzione industriale in questo Paesi rimangono stabilmente alti. Inoltre, è probabile che si riducano le estrazioni di scisto negli USA dove il nuovo governo ha vietato la trivellazione sul suolo federale. A quanto pare i produttori di scisto non potranno tornare alla ribalta come hanno fatto con Trump. Ciò significa che buona parte del petrolio rimarrà nel mercato interno.
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