“Il Coronavirus non va sottovalutato, ma dobbiamo pensare a una ripartenza scaglionata iniziando dai settori prioritari, e poi a seguire tutti gli altri, applicando con rigore e controlli severi le misure sanitarie", lo ha detto il vicepresidente di Confindustria Licia Mattioli intervistata da Quotidiano.net.
Mattioli si domanda anche se non fosse possibile un modello cinese applicato all’Italia, in particolare in quella parte del modello che “ha chiuso solo Wuhan e la sua regione” e non tutta la Cina. La potenziale candidata alla successione di Boccia alla guida di Confindustria si domanda, quindi, se non sia possibile almeno riaprire le attività in quelle regioni italiane meno colpite dall’epidemia. Sempre guardano alla sicurezza aggiunge.
Settori industriali chiusi che gli altri non hanno chiuso
Non condivide la chiusura delle acciaierie in Italia, perché la Germania e la Francia non lo hanno fatto e dice: “In Italia ora manca l’acciaio anche per fare i letti degli ospedali”.
E sulle conseguenze sull’export avverte: dove non arriviamo più noi, ci stanno arrivando i fornitori di altri Paesi.
Riaprire o non riaprire?
Anche Matteo Renzi di Italia Viva aveva richiesto che si riaprissero le imprese tutelando la sicurezza dei lavoratori, ma è stato contestato dalla politica e anche dal mondo scientifico.
Tuttavia inizia a mostrarsi il volto duro di questo fermo e riguarda la incapacità di raccogliere i prodotti agricoli, la impossibilità di approvvigionarsi di beni meno essenziali ma comunque importanti per il sistema Paese.
Il Centro studi di Confindustria ieri ha pubblicato dati allarmanti sulla produzione industriale italiana. Nel solo mese di marzo abbiamo perso il -16,6%.
Per quanto potrà durare questa chiusura quasi totale, prima che affiorino gravi problemi nell’approvvigionamento?
Questa mattina il capo della Protezione civile Angelo Borrelli ha prospettato una chiusura sullo schema attuale fino all’1 maggio compreso.
La vice di Confindustria propone di fare tamponi e test a tappeto per scovare chi è sano e di mandare a lavoro almeno quelli che sono guariti e si presuppone che siano ora immunizzati.
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