In primo luogo, parlando alla conferenza sulle riforme in Ucraina di Toronto, Andrey Favorov, top manager della società Naftogaz, è stato con i suoi ascoltatori molto onesto: le forniture di gas russo ai mercati europei attraverso l’Ucraina possono essere nella migliore delle ipotesi “interrotte”. E comunque non più in là del primo trimestre del 2020. Ciò vuol dire che al “gas russo di transito” in territorio ucraino rimangono solamente altri 7/8 mesi di vita.
A dir la verità, quello che ha detto Favorov non è una novità per gli esperti o i semplici interessati. Le contestazioni sono più che altro legate alle argomentazioni da lui addotte. In particolare stando a quanto dice, il volume delle riserve di gas naturale Gazprom in Europa superiore del 15-16% rispetto all’anno scorso non rappresenta una prova del fatto che i russi si stiano preparando a interrompere il transito. Infatti, poiché questo volume maggiorato è legato esclusivamente allo scorso inverno caldo, la preparazione al prossimo inverno europeo è solo all’inizio.
Ma non vi è dubbio che le riserve vengano pompate fino all’orlo.
Nessuno ha mai nascosto che i russi si stessero preparando a un simile sviluppo degli eventi. Le difficoltà di trasferimento dei flussi di gas dal tradizionale tragitto “ucraino” verso il Nord Stream-2 e i gasdotti turchi erano note anche prima. Sia a livello di eventuali ritardi nella costruzione dell’infrastruttura sia a livello del cosiddetto casus Denmark: il fatto che uno dei “Paesi partecipanti al tragitto” potesse non sopportare le pressioni dei “gruppi di influenza atlantici” e rivelarsi un “anello debole”, era facilmente intuibile. La maggior parte degli esperti credeva che sarebbe stata la Svezia, ma alla fine è saltata la Danimarca. In linea di principio non vi è differenza alcuna: nessuna delle due è fondamentale per il transito, possono essere, seppur con qualche perdita, aggirate. L’importante è che non siano state né la Finlandia né la Germania: in quel caso sarebbe stato peggio.
Gazprom e Nord Stream-2 AG hanno già confermato ufficialmente che al massimo si perderanno 6 mesi, anche se stanno cercando di evitarlo. Ad ogni modo i dirigenti sostengono che “tutto sia nei tempi”. Del resto, non vi sono ragioni per non crederci.
Ma proprio questi 6 mesi potrebbero rivelarsi critici vista la frattura con l’Ucraina circa l’accordo sul transito. Questo aspetto, però, è stato considerato anche dalla controparte. Per qualche ragione le parti fino ad oggi si sono convinte che, vista la situazione, la Russia non potesse fare a meno dell’infrastruttura ucraina di trasporto del gas. In particolare nella fase iniziale.
Come è emerso, questo è ben lungi dall’essere così. Per sostituire i volumi potenzialmente in calo, è indubbio che Gazprom sfrutterà al massimo le riserve sotterranee di gas proprie e dei partner e manderà a pieno regime tutti i suoi altri flussi disponibili.
Ma l’ultima parola alla questione l’hanno messa a metà della settimana scorsa non Gazprom e i suoi partner europei, ma Novatek, il cui direttore Leonid Mikhelson in una conferenza stampa a Murmansk ha confermato ufficialmente quello che prima era solo una voce di corridoio: Novatek è realmente pronta ad aiutare Gazprom ad ottemperare ai suoi obblighi contrattuali di fornitura di gas in Europa dietro acquisto di gas naturale liquefatto da Yamal LNG qualora a gennaio 2020 si interrompesse il transito di gas in Ucraina.
E sarebbe del tutto in grado di farlo anche in presenza di uno scenario peggiore.
Si confrontino i seguenti numeri: al momento il volume non contrattuale di gas che esce dallo stabilimento può attestarsi tra l’8 e il 9% di tutto il gas prodotto dalle imprese del gruppo. Inoltre, durante il primo trimestre, o comunque almeno a gennaio, Novatek avvierà un quarto stabilimento sperimentale (dotato di sola strumentazione russa) di capacità produttiva pari a 900.000 tonnellate l’anno. Anche questi volumi non sono appaltati e potrebbero essere venduti ai consumatori europei di Gazprom. Dunque, in generale, anche in presenza di difficili condizioni climatiche e di un inverno freddissimo, questi volumi dovrebbero essere ampiamente sufficienti perché Gazprom riesca a ottemperare ai suoi obblighi contrattuali a lungo termine in Europa. Se analizziamo la situazione da un punto di vista meramente tecnico e finanziario, l’interruzione del transito del gas russo in Europa tramite l’Ucraina non è chiaramente cosa piacevole per i russi. Ma ad ogni modo non è nemmeno una catastrofe.
Per l’Ucraina, invece, l’interruzione del transito del gas russo è una vera e propria catastrofe non solo finanziaria, ma anche tecnica. Che Dio sia con loro e con quegli arcinoti “3 miliardi di dollari” ricevuti dall’Ucraina per il transito senza i quali l’economia ucraina, per usare un eufemismo, arrancherebbe. Che Dio sia con loro e li aiuti a trovare i mezzi necessari alla conversione e/o lo smontaggio delle tubature. Da questo punto di vista la situazione è ben peggiore. Anche l’approvvigionamento interno di gas in Ucraina è legato alle tubature di transito attraverso l’intricato sistema del financial reverse. Naturalmente, però, in fase di costruzione non è stata prevista alcuna applicazione pratica di questo reverse. Ma se toglieranno le tubature, come arriverà il “gas slovacco” nelle case e nelle imprese ucraine?
La cosa più ridicola è che, nonostante tutto, l’iniziatore della realizzazione del prolungamento del transito tramite la proroga del contratto (la normativa europea non consente a Naftogaz di concludere un nuovo accordo fino a quando non sarà scaduto il precedente) non è l’Ucraina, ma sono l’UE e la Russia. A loro interessa continuare a pompare gas in queste zone, ma non ai volumi e ai prezzi di oggi. Ma questo è già qualcosa.
L’incapacità del triangolo Russia-UE-Ucraina di giungere a un accordo è dimostrata in particolare dall’Ucraina. E su questo sono concordi anche i dirigenti europei. E non c’è da stupirsi: sì, per l’Ucraina è di fondamentale importanza mantenere il transito, qualunque forma esso assuma. Ma dal punto di vista politico il transito ucraino non appartiene comunque né all’Ucraina e nemmeno alla Russia o all’Europa. Come si dice, persa la sovranità, non piangono sui gasdotti: dal punto di vista politico la valvola delle tubature ucraine la detiene un altro attore che al momento sta costruendo in fretta e furia stabilimenti per la produzione di GNL sulla sua costa orientale. E al quale non servono i volumi concorrenziali russi di gas in Europa che qui arrivano tramite il Nord Stream 2, l’Ucraina o il Turkish Stream.
Per questo, ebbe forse ragione Aleksey Miller quando, rispondendo a una domanda sulle tempistiche dell’attuale contratto di transito, scherzò dicendo che “il primo gennaio sarà un giorno felice”. Proprio “felice” non sarà perché comunque in Ucraina vivono persone a noi russi non estranee.
Sarà più che altro freddo. E il freddo, ahimè, sarà molto probabile.
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