Venti di guerra spirano sull’Ucraina. Di nuovo. Centrale sembra essere un atto di aggressione russo, nello specifico lo speronamento ed il sequestro di tre navi militari ucraine a largo dello Stretto di Kerch. Durante la scaramuccia e il sequestro delle navi ucraine, la Russia ha operato un blocco navale, atto di guerra per il diritto internazionale, a cui l’Ucraina risponde in maniera automatica dichiarando lo stato di guerra e la legge marziale.
Tutto sembra lineare. Manca però una contestualizzazione.
Questo non vuol dire però essere incastrati nel puro relativismo? Esistono bussole che permettono di riscostruire un discorso, una logica, trovare le profonde cause dei fenomeni politici. Per farlo bisogna andare al nucleo della politica: il potere, ossia la capacità di perseguire il proprio interesse.
Esiste una domanda eterna che permette di giungere a tali risposte e toccare il nucleo del fenomeno politico: Cui prodest?
Cosa rimane a seguito della crisi? Da una parte un breve blocco navale russo che impedisce l’entrata al Mare di Azov alle navi ucraine, dall’altra la dichiarazione della legge marziale da parte di Petro Poroshenko (in attesa dell’approvazione del Parlamento), la quale prevede coprifuoco, limitazione della libertà di stampa, di riunione e passaggio dell’autorità dalle istituzioni civili a quelle militari.
I Russi rimangono dunque con in mano solo tre navi ucraine di piccole dimensioni, antiquate e i 23 marinai che ne costituivano l’equipaggio, detenuti ed interrogati a Kerch.
Cui Prodest dunque? Difficilmente si può rispondere “Russia”. Alla fine della giornata il Paese si trova con 23 marinai ucraini prigionieri, una convocazione del Consiglio di Sicurezza ONU, dichiarazioni della maggior parte della comunità internazionale a favore dell’Ucraina e l’appello di Poroshenko a creare una coalizione militare contro la Mosca.
Diversa è invece la situazione per l’Ucraina, o meglio alcuni suoi specifici attori politici: Petro Poroshenko e la classe di oligarchi a lui vicina. Petro Poroshenko soffre di una sempre maggiore impopolarità nel Paese. L’ultimo anno ha visto una crescente mobilitazione contro l’establishment, accusato non solo di non fare nulla contro la corruzione e la ruberia oligarchica, ma addirittura di essere un tutt’uno. A queste coraggiose mobilitazioni e denunce sono corrisposte numerose uccisioni ed attentati ai danni di giornalisti ed attivisti della società civile. Casi come quello di Katya Gadziuk o Vitaly Ustymenko non sono che la punta dell’iceberg. Non è un caso che, come scrive Alexandra Wishart in un interessante articolo su Lossi 36 che lo SBU, i servizi segreti ucraini, sia più concentrato su certi segmenti della società civile che sulla Russia.
Infine, la crisi con la Russia e il suo inquadramento come difesa rispetto ad un’aggressione moscovita, permette di ottenere sostegno politico estero da parte dell’Occidente, legittimando così il soffocamento dell’opposizione, della dialettica interna, potenzialmente democratica
Sospendendo dunque il nostro giudizio su chi abbia provocato la crisi, Cui prodest?
La risposta è chiara. ci permette forse anche d’avere solidi sospetti su chi abbia provocato la crisi.
Ora resta solo da vedere se il Parlamento voterà a favore della legge marziale, ma in pochi dubitano su come andrà il voto.
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