I dinieghi e dubbi dell’Europa sull’utilizzo del vaccino Sputnik V ricordano la storiella del marito cornuto pronto a tagliarsi gli attributi per far dispetto alla moglie fedifraga. Il paragone non sarà edificante, ma è calzante. L’Europa oltre a non averne azzeccata mezza dimostrandosi incapace sia di programmare i piani vaccinali, sia d’imporre il rispetto degli accordi alle industrie del farmaco vuole evitare, per ragioni squisitamente ideologiche, l’utilizzo del vaccino russo Sputnik V.
Rinunciando ad una arma utile per immunizzare i propri cittadini rischia infatti di restare l’ultima “grande malata” in un mondo dove Russia, Cina, Usa e Israele si preparano a uscire dalla crisi pandemica. Con la conseguenza, non indifferente, di ritrovarsi economicamente e politicamente paralizzata rispetto a chi, Russia compresa, ha in mano la ricetta per rimettersi in piedi. Capofila di questa visione tanto ideologica quanto controproducente è Christa Wirthumer-Hoche, direttrice del consiglio d’amministrazione dell’Ema, l’agenzia Europea del Farmaco responsabile di un eventuale valutazione positiva o negativa del vaccino russo.

La Hoche intervenendo ad un dibattito televisivo ha liquidato come una roulette russa la decisione di alcuni paesi europei di utilizzare il vaccino. Una dichiarazione perlomeno azzardata visto che l’Ema, diretta dalla Hoche, deve ancora iniziare a valutarne l’efficacia mentre Lancet, una delle più autorevoli riviste in campo medico, gli attribuisce un’efficacia del 91,6%, ovvero pari o superiore a quella dei tre vaccini validati fin qui dall’Ema (BioNTech Pfizer, Moderna e AstraZeneca).
Ma l’ideologia anteposta al pragmatismo e all’interesse dei propri cittadini è anche figlia dell’inettitudine di un’euroburocrazia restia ad ammettere i propri errori. Il principale riguarda la messa a punto del piano vaccinale che doveva garantire le forniture europee.
Quel piano si basava sull’ipotesi, purtroppo infondata, in base alla quale le sei aziende (Pfizer, Moderna Astra Zeneca e Johnson e Johnson e Sanofì GSK e Cure vac), con cui la Commissione Europea ha stretto accordi per l’acquisto di 2 miliardi e mezzo di dosi, sarebbero arrivate contemporaneamente allo sviluppo e alla produzione del vaccino. Ipotesi smentita dai fatti visto che - malgrado i finanziamenti alla ricerca garantiti in anticipo dalla Commissione Europea- le aziende si sono presentate all’appuntamento con tempi e risultati diversi.
I francesi di Sanofi, penalizzati da errori di progettazione, hanno abbandonato. Johnson e Johnson e CureVac sono rimasti molto indietro rispetto a Pfizer, Moderna e Astra Zeneca.
Le prime tre arrivate hanno così potuto gestire da una posizione di monopolio le richieste dell’Europa, e del resto del mondo. E nell’inevitabile logica del profitto hanno finito con il privilegiare paesi come Stati Uniti, Israele e Inghilterra pronti a pagare più di noi europei per ogni singola dosi. E qui è risultata evidente la Waterloo di un’Europa che nonostante le proprie ambizioni di grande potenza globale si è dimostrata incapace di far rispettare gli accordi alle aziende farmaceutiche e di piegarle alle proprie politiche. Pfizer, Astra Zeneca e, da buona ultima, Johnson e Johnson con l’annunciato taglio di 55 milioni di dosi nel secondo trimestre hanno evidenziato l’irrilevanza politica delle autorità europee e la loro sudditanza nei confronti dei colossi economici presenti sui propri territori.
In questa situazione i primi a cercar sostegno altrove sono stati alcuni paesi membri. La locomotiva tedesca, guidata da Angela Merkel, è stata la prima a uscire dal binario morto delle politiche europee suggerendo, già a gennaio, il ricorso a Sputnik V. Un’ipotesi trasformata in realtà dall’Ungheria di Orban che non ha esitato a distribuirlo ai propri cittadini. Ma altrettanto rilevanti sono le defezioni di Austria e Danimarca pronte ad abbandonare le intese con la Ue per concordare un piano vaccinale con Israele. Come se non bastasse l’intesa per la produzione di Sputnik V negli stabilimenti della Adienne a Caponago (Monza) - annunciata da Kirill Dmitriev amministratore delegato del Russian Direct Investment Fund (RDIF) - promette di spiazzare definitivamente gli organismi europei.
Questi ultimi si ritroverebbero infatti nell’imbarazzante situazione di bloccare un vaccino che - oltre a risultare efficace - viene prodotto sui territori dell’Unione impiegando maestranze europee. Senza dimenticare che l’unica alternativa sarebbe continuare a subire i diktat delle aziende farmaceutiche e fare i conti con un economia irrimediabilmente bloccata in un mondo pronto a ripartire. Uno stallo pernicioso che nel lungo periodo si tramuterebbe in una sconfitta assai più grave e dolorosa grave rispetto all’impiego di un vaccino che - nonostante le paranoie di chi ripropone scenari da guerra fredda - risulta efficace e a buon mercato.