Può un medico di base da solo trattare 150 suoi pazienti affetti dal virus? Se lo domanda il professore Matteo Bassetti, infettivologo, intervistato da Il Giornale, rispondendo a quanti accusano i medici di famiglia di non voler curare i loro pazienti e di dirottarli tutti sugli ospedali.
La questione vera afferma il professore, è che abbiamo “un problema di organizzazione e di tagli che sono stati fatti negli ultimi trent’anni. Nessuno se n’è accorto sul momento, adesso però stiamo vedendo i risultati”, afferma l’infettivologo. Bassetti spera che ora la lezione sia stata appresa e che si comprenda che per organizzare il sistema sanitario del futuro “ci vogliono investimenti pesanti e sostanziosi”.
Sui medicinali da usare per curare i positivi
Il professor Bassetti affronta anche il tema dei farmaci da utilizzare per curare i malati e gli asintomatici.
“C’è molto disordine” afferma il professore che è anche presidente della Società italiana di terapia anti infettiva e così “ognuno fa un po’ come gli pare. Ho saputo anche di soggetti asintomatici che sono stati trattati con eparina, cortisone e antibiotici”, riporta Il Giornale.
“La gente sente questa confusione e va in ospedale, dove si presume ci sia un po’ più di ordine”, aggiunge Bassetti.
Le cure ospedaliere
In ospedale si cura in base al quadro che i medici si trovano davanti. “Entro i primi dieci giorni dall’emergere dei sintomi si usa il cortisone a dosi sostenute, il Remdesivir che è stato approvato per chi ha deficit respiratori”, spiega Bassetti. Mentre si usa l’eparina per evitare che si formino i trombi e infine si aggiunge un antibiotico per le polmoniti più “impegnative”.
L’idrossiclorochina
A proposito della tanto citata idrossiclorochina, il professore Bassetti afferma: “C’è uno studio randomizzato che dimostra come coloro a cui è stata somministrata l’idrossiclorochina non hanno ottenuto alcun beneficio.”
Protocolli nazionali
L’infettivologo critica la mancanza di un protocollo di livello nazionale, “una sorta di linee guida italiane a cui le società scientifiche stanno lavorando”, ma che al momento mancano rendendo il quadro confuso anche sotto il profilo dell’assistenza sanitaria.
La mancanza di linee guida impatta infatti anche la gestione dei pazienti e la loro permanenza in ospedale, racconta Bassetti:
“Ci devono essere anche criteri di dimissioni condivisi: una volta che il paziente sta bene, che non ha più bisogno di presidi ospedalieri, quando lo posso dimettere? Questo è importante perché permette un turnover maggiore di posti letto.”