Le truppe di Baku nel frattempo avanzano sia da nord che da sud. E minacciano di stringere in una morsa la capitale Stepanakert e l’intera enclave.
“Arthur, Arthur figlio mio cosa t’hanno fatto? Come farò senza di te? Come vivrò senza più vederti”.
Le lacrime di Laura Agajanian sono un fiume in piena. Scendono a rivoli dalle gote, colano sulla bara, inumidiscono la terra mentre il suo singhiozzare cupo e il nome del figlio perduto attraversano la collina, riecheggiano tra le fosse del camposanto di Stepanakert. Il feretro è chiuso. Di tanto in tanto Laura ci sbatte sopra il palmo della mano. Una, due, tre volte, come se quelle manate potessero risvegliare Arthur, restituirgli la vita.


Là dietro, sui marmi della tomba di famiglia, campeggiano i volti di Arsen e Edward. Laura li ha sepolti 16 anni fa. Erano suo marito e suo fratello. Se li portò via quella che gli armeni del Nagorno-Karabakh chiamano semplicemente la “prima guerra”. La guerra che nel 1994 regalò all’enclave 26 anni di effettiva indipendenza. A quel tempo Arthur aveva solo qualche anno.
“Ma quando vennero ammazzati suo marito e suo fratello mia sorella potè almeno baciarli e salutarli. Arthur non ha potuto nemmeno vederlo per l’ultima volta … La bara, lo vedete, è chiusa. Di mio nipote e dei suoi compagni morti con lui su quel camion è rimasto assai poco. Sono stati centrati dal missile di un drone mentre scendevano a sud. Non sono neanche riusciti a raggiungere la linea del fronte. Quei bastardi li hanno ammazzati prima che riuscissero a sparare un solo colpo.” Non è stato un caso.
Da tre settimane la strada che collega la capitale Stepanakert alle prime linee di Hadrut, il distretto meridionale del Nagorno-Karabakh al confine tra Iran e Azerbaijan, è diventata la strada della morte. Una morte silenziosa e invisibile nascosta nell’immensità di un cielo trasformato nel regno dei Bayraktar dai droni turchi. Gli aerei senza pilota messi a disposizione del presidente azero Ilham Aliyev dall’alleato Recep Tayyip Erdogan hanno mutato il volto di questo conflitto.
In sole tre settimane hanno spazzato via tutti gli elementi di deterrenza ed equilibrio strategico che impedivano all’Azerbaijan di tentare la riconquista dell’enclave armena perduta nel lontano 1994. Nessuno sa quanti aerei senza pilota siano stati messi a disposizione di Baku, né se il loro impiego sia nelle mani di operatori turchi o azeri.
Di certo però quei velivoli hanno ribaltato le regole del conflitto. Il loro arrivo ha reso non solo inutile, ma addirittura letale l’uso delle trincee. Fino ad oggi le interminabili linee difensive scavate lungo la linea di contatto con tecniche simili a quelle della prima guerra mondiale avevano impedito qualsiasi avanzata. Oggi l’accuratezza dei droni turchi e dei loro missili a guida laser capaci d’infilarsi nelle trincee con precisione millimetrica ha trasformato le postazioni armene in anticamere dell’inferno.

E assieme alle trincee anche le poche e impervie strade utilizzate per raggiungere le prime linee si sono tramutate in letali poligoni di tiro. Lo dimostrano le carcasse carbonizzate di camion, mezzi blindati e carri armati armeni disseminati attorno a tutte le direttrici che collegano la capitale ai principali fronti.
“Ormai la vecchia guerra a cui siamo stati addestrati per oltre vent’anni non esiste più. I nostri uomini muoiono ancor prima di mettere piede in prima linea. E quando riescono a raggiungerla non devono vedersela con un nemico in carne ed ossa, ma con una pioggia di missili e bombe di ogni tipo. In nove giorni passati in quell’inferno non sono riuscito a sparare un solo colpo, e ho perso almeno cinque amici. Senza contare quelli rimasti feriti assieme a me”, racconta a Sputnik Italia un ex-comandante rientrato dal fronte di Hadrut solo una settimana fa.
In questa situazione difendere le posizioni è diventata una missione quasi impossibile. Carri armati e blindati usati per il trasporto delle truppe vengono colpiti non appena si avventurano allo scoperto.

L’artiglieria, esposta ancor di più agli attacchi dei Bayraktar, è difficilmente impiegabile. E ancor più complesso è rifornirla di munizioni visti che i grossi camion indispensabili per il loro trasporto sono anch’essi nel mirino dei droni.
Privi di una vera e propria aviazione gli indipendentisti del Nagorno-Karabakh si ritrovano di fatto nell’impossibilità di fermare l’avanzata di un esercito azero che dopo aver conquistato Hadrut a sud e alcuni distretti del nord si prepara a chiudere in una tenaglia la parte centrale dell’enclave.
“Non ci fermeremo finché non avremo conquistato Sushi”, dichiara intanto il presidente azero facendo intendere di voler strappare agli armeni la città simbolo dell’identità cristiana di questa enclave.

Una città dove nel marzo 1920 si consumò la tragedia di oltre ventimila armeni massacrati dagli azeri. Una città dove gli armeni tornarono solo nel 1994 quando la messa celebrata nella sua cattedrale divenne il segnale della vittoria. Ma a 26 anni di distanza tutto fa presagire un imminente e tragico ritorno al passato.
Dopo aver bombardato e semidistrutto la cattedrale di Sushi centrata da due potenti missili lo scorso 8 ottobre gli azeri sfruttano la loro superiorità aerea per vanificare le obsolete strategie difensive degli armeni e avanzare da nord a sud chiudendo in una morsa la capitale Stepanakert. Una morsa che minaccia di polverizzare per sempre il sogno dell’antico Artsakh, la nazione armena risorta dalle proprie ceneri dopo morte dell’Unione Sovietica.

NOTA DELLA REDAZIONE:
Alla mezzanotte del 18 ottobre era entrata in vigore una nuova tregua umanitaria nel Nagorno-Karabakh, la seconda in questa spirale di ostilità. Però reparti in conflitto si sono accusate a vicenda di violare l'armistizio.
In precedenza i capi delle diplomazie di Baku e Yerevan durante i negoziati a Mosca conclusisi nella tarda serata di venerdì 9 ottobre hanno concordato il cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh a partire da mezzogiorno di sabato 10 ottobre. I ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian erano arrivati a Mosca su invito del presidente russo Vladimir Putin. I negoziati sono durati oltre dieci ore. Dalla firma della tregua, tuttavia, da una parte e dall'altra dello schieramento sono state registrate diverse violazioni e azioni offensive.
I combattimenti sulla linea di contatto nel Nagorno-Karabakh sono iniziati il 27 settembre. Armenia e Azerbaigian si accusano a vicenda di aver riacceso il conflitto, il governo indipendentista filo-armeno della repubblica non riconosciuta denuncia bombardamenti di artiglieria delle forze azere su centri abitati, compresa la capitale Stepanakert. L'Armenia ha dichiarato la legge marziale e - per la prima volta - la mobilitazione generale, sostenendo che Ankara sostiene attivamente Baku. In Azerbaigian è stata invece introdotta una mobilitazione parziale.
I leader di Russia, Stati Uniti e Francia hanno invitato le parti opposte a porre fine agli scontri e ad impegnarsi ad avviare negoziati senza precondizioni. La Turchia ha dichiarato che fornirà all'Azerbaigian qualsiasi sostegno richiesto sullo sfondo di un altro aggravamento della situazione nel Nagorno-Karabakh.