“Riconoscimento internazionale di Nagorno-Karabakh potrebbe diventare una via d'uscita”

© Foto : Niva MirakyanTsovinar Hambardumyan - Ambasciatrice della Repubblica Armena in Italia
Tsovinar Hambardumyan - Ambasciatrice della Repubblica Armena in Italia - Sputnik Italia
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L’Ambasciatrice della Repubblica Armena in Italia Tsovinar Hambardumyan spiega a Sputnik Italia la soluzione che propone il governo armeno alla comunità internazionale per fermare l’escalation.

“Nelle condizioni attuali, per garantire la sicurezza esistenziale del popolo di Artsakh (Nagorno-Karabakh), è diventato indispensabile il riconoscimento del diritto all'autodeterminazione del popolo dell’Artsakh. Questo riconoscimento può essere fatto dai governi, dai parlamenti, dalle organizzazioni, dai singoli individui e dai popoli”, ribadisce l’Ambasciatrice Hambardumyan in un'intervista rilasciata a Sputnik Italia, sottolineando che il nuovo conflitto “può essere risolto esclusivamente attraverso negoziati pacifici”. 

— Ambasciatrice Hambardzumyan, venerdì scorso, dopo 10 ore di negoziati e soprattutto grazie alla mediazione del Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, è stato raggiunto un accordo per un cessate il fuoco umanitario nel Nagorno-Karabakh. Questa mossa potrebbe porre fine all’escalation “senza precidenti” durata per 13 giorni o sarà comunque una tregua fragile?

— Non possiamo affatto dire che l'accordo di cessate il fuoco umanitario sia stato mantenuto, poiché subito dopo l'entrata in vigore dell’accordo, durante la notte, l’Azerbaigian ha bombardato quasi tutte le località dell’Artsakh e continua tuttora a bombardare la capitale Stepanakert, Shushi, Hadrut e altre città. Due giorni fa, il presidente dell’Azerbaigian aveva annunciato di aver preso la città di Hadrut.

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Le forze armate dell’Azerbaijan, evidentemente motivate dalla necessità di fornire una sorta di prova per sostenere l’affermazione del Presidente dell’Azerbaigian, poco prima dell’inizio del cessate il fuoco umanitario, hanno fatto un tentativo di attacco sovversivo in direzione di Hadrut.

L’Esercito di Difesa dell’Artsakh ha respinto gli attacchi delle forze armate azere. Lo confermano anche i giornalisti internazionali che hanno visitato Hadrut. Il difensore dei diritti umani della Repubblica dell’Artsakh ha raccolto informazioni sulle brutalità commesse dalle forze armate dell’Azerbaigian secondo cui durante l’infiltrazione, i militanti del gruppo sovversivo azero, la mattina del 10 ottobre a Hadrut, hanno ucciso 2 civili che stavano dentro la propria abitazione: la madre con il figlio disabile.

— Perché il vecchio conflitto “congelato” è riesploso proprio ora, al culmine della pandemia globale? Era del tutto inaspettato per l’Armenia o c'erano già i presupposti?

— L’attacco dell’Azerbaigian non è stata una sorpresa. Non è la prima volta che l’Azerbaigian attacca il Nagorno-Karabakh e l’Armenia. Questo è avvenuto anche nel 2016 con la guerra dei quattro giorni, e anche nel luglio di quest’anno. In un certo senso, l’attacco di luglio era una sorta di preparazione per l’attacco del 27 settembre.

La retorica guerrafondaia dell’Azerbaigian, negli anni passati, dimostrava chiaramente la loro intenzione di scatenare una guerra su vasta scala. Aggiungerei anche che questa guerra è la continuazione logica delle esercitazioni militari congiunte dell’Azerbaijan e della Turchia. Che in pratica, non sono terminate prima dell’inizio delle operazioni militari.

E perché il conflitto è riesploso proprio ora, durante la pandemia globale? La risposta è molto semplice: l’Azerbaijan ha scatenato questo attacco, ignorando l’appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco globale durante la pandemia, mentre l’attenzione del mondo era rivolta verso il Covid-19, nemico invisibile dell’umanità che ha causato più di 1 milione di vittime. L’Azerbaijan, così, sperava che i suoi crimini militari non avrebbero attirato l’attenzione mondiale.

— Il ruolo della Turchia di Erdogan preoccupa molti osservatori e leader internazionali, fra cui il presidente francese Macron, il primo ministro canadese Trudeau e il presidente siriano Assad. Conferma il diretto coinvolgimento militare di un terzo attore e la presenza dei cosiddetti “mercenari siriani” al fronte? Queste accuse sono sopportate dalle prove?

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— Anche se non ci fossero altre prove, è la Turchia stessa a confermare di essere direttamente coinvolta nel conflitto. La Turchia ha più volte dichiarato di sostenere l’Azerbaijan sia politicamente sia nel campo di battaglia. La Turchia sostiene l’Azerbaijan con le armi, con gli istruttori militari e fornisce numerosi mercenari jihadisti terroristi. La presenza di questi ultimi è stata confermata non solo dalle dichiarazioni ufficiali dei paesi che Lei ha menzionato ma anche dalle dichiarazioni di paesi come la Russia, l’Iran e gli Stati Uniti. L'Ambasciata degli Stati Uniti a Baku ha pubblicato sul sito ufficiale un avviso per segnalare ai propri cittadini che in Azerbaijan è presente un alto rischio di contagio da Covid-19 e di terrorismo.

Anche le più autorevoli testate giornalistiche di tutto il mondo confermano l’invio dei jihadisti in Azerbaijan. Ieri la stampa italiana aveva pubblicato un video brutale di come un jihadista festeggia l’uccisione dei soldati armeni «infedeli».

Inoltre, i paesi co-presidenti del Gruppo di Minsk hanno fatto una dichiarazione che invitava le parti a mettere fine alle ostilità. A questa dichiarazione invece dell’Azerbaijan ha risposto direttamente la Turchia, sottolineando che non hanno intenzione di cessare il fuoco.

Quali altre prove occorrono per confermare la partecipazione attiva della Turchia in questo conflitto, che rappresenta in sé la più seria minaccia non solo per la nostra area, ma anche per tutta l’Europa. È necessario sottolineare che alla fine della guerra nel Nagorno-Karabakh questi combattenti, per lo più terroristi, si muoveranno ovunque, infiltrandosi pure in Europa e mettendo a serio rischio la sicurezza dei suoi cittadini.

Vorrei però specificare che, in questo caso, chiamare i militanti presenti nella nostra area «mercenari siriani» non è il termine giusto. Si tratta di mercenari che vengono dai territori siriani sotto il controllo turco e da altri paesi come Libia, Afghanistan e Pakistan. Gli armeni provano sentimenti di vicinanza e amicizia nei confronti del popolo siriano, che un secolo fa durante il genocidio armeno aiutò il nostro popolo e questo non lo dimenticheremo mai.

— Nella sua recente intervista uscita sempre venerdì scorso sulla Repubblica, il premier armeno Nikol Pashinyan ha parlato apertamente del rischio di un “nuovo genocidio degli armeni”. Quindi, questa volta si tratta non solo di una questione territoriale bensì esistenziale?

— Sì, in effetti, purtroppo è così. La questione del conflitto del Nagorno-Karabakh non è mai stata una questione territoriale. È stata sempre una questione di sicurezza e di tutela dei diritti umani del popolo dell’Artsakh. È ovvio anche che la Turchia è tornata nel Caucaso meridionale per continuare la sua politica genocidaria nei confronti del popolo armeno. Gli armeni sono l’unico ostacolo alla politica espansionista della Turchia che sta realizzando una politica di rinascita dell’impero ottomano.

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Tutto questo dovrebbe essere considerato nel contesto della politica che la Turchia sta portando avanti nel Mar Mediterraneo nei confronti della Grecia e del Cipro; della politica che la Turchia sta portando avanti in Libia, in Siria, in Iraq. L’Europa e la comunità internazionale dovrebbero prestare massima attenzione a queste ambizioni turche, altrimenti la Turchia prossimamente si troverà di nuovo alle porte di Vienna.

— Quale soluzione diplomatica propone il governo armeno? E cosa chiede alla comunità internazionale che fino ad oggi si limitava a un generico appello al cessato il fuoco?

— Innanzitutto, la parte armena ritiene che non esista una soluzione militare al conflitto del Nagorno-Karabakh. Questo conflitto può essere risolto esclusivamente attraverso negoziati pacifici.

L’Armenia auspica che la comunità internazionale abbia la giusta influenza per fermare l’aggressione dell’Azerbaigian e della Turchia contro la Repubblica dell’Artsakh, e contro l’Armenia, per far tornare l’Azerbaijan al tavolo dei negoziati nell’ambito della co-presidenza del Gruppo di Minsk.

Nelle condizioni attuali, per garantire la sicurezza esistenziale del popolo dell’Artsakh, è diventato indispensabile il riconoscimento del diritto all'autodeterminazione del popolo dell’Artsakh. Questo riconoscimento può essere fatto dai governi, dai parlamenti, dalle organizzazioni, dai singoli individui e dai popoli.

— E l’Italia mantiene ancora un posizionamento neutrale?

— Sin dal primo giorno dell’aggressione scatenata dall’Azerbaigian, la parte italiana ha espresso preoccupazione per la guerra lungo tutta la linea di contatto e ha chiesto un cessate il fuoco immediato. Dopo l’incontro avvenuto a Mosca la parte Italiana, sempre fedele alla Costituzione Italiana, ha ribadito l'impossibilità di una soluzione del conflitto con le armi. L’Italia ha rinnovato l’appello alle parti affinché siano rapidamente ripresi negoziati senza precondizioni sotto l’egida dei Co-Presidenti del Gruppo di Minsk. Questo è un messaggio molto importante, ovvero che bisogna sedersi al tavolo negoziale senza precondizioni.

— L’Armenia, in quanto primo paese a convertirsi e abbracciare ufficialmente il cristianesimo nel 301, si aspetta anche un intervento da parte del Papa, soprattutto dopo il bombardamento delle chiese armene?

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— Il bombardamento della chiesa del Santissimo Salvatore Ghazanchetsots, uno dei simboli della città di Shushi e uno dei gioielli degli armeni cristiani, può essere definito come una vera e propria atrocità feroce e disumana. L’Azerbaijan e la Turchia hanno l'obiettivo di eliminare non solo gli armeni del Nagorno-Karabakh, ma anche tutto il patrimonio culturale del popolo armeno. Questo attacco dell’Azerbaigian è una guerra contro la civiltà, una guerra contro la cultura secolare e contro i valori universali che ricorda gli attacchi delle organizzazioni terroristiche come l’ISIS*. L’attacco e la distruzione della Cattedrale armena, pertanto, non è un attacco contro il gli armeni o contro la chiesa armena. Ma è un attacco contro la civiltà cristiana. È una continuazione di ciò che è accaduto in Turchia con la Cattedrale di Santa Sofia e con la chiesa di San Salvatore in Chora.

— La guerra sanguinosa del 1988 in epoca è stato uno dei fattori principali che hanno provocato il crollo dell'Unione Sovietica. E quali saranno le ripercussioni del nuovo conflitto sugli equilibri a livello internazionale e geopolitico?

— Fare previsioni oggigiorno non è facile, ma una cosa è certa: i jihadisti sono arrivati nella nostra regione e domani busseranno alle porte dell’Europa. È evidente anche che ormai bisogna considerare la Turchia e l’Azerbaijan non come “un popolo e due stati”, ma come “un popolo e uno stato”.  È evidente, inoltre, che se la Turchia non viene fermata oggi, domani sarà troppo tardi per tutti.

NOTA DELLA REDAZIONE:

Una nuova escalation di ostilità, senza precedenti dalla guerra del 1992-1994, è scoppiata nel Nagorno-Karabakh il 27 settembre, con Armenia e Azerbaigian che si accusano a vicenda di averla provocata.

L'autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh ha denunciato attacchi di artiglieria azera contro varie città tra cui la capitale, Stepanakert.

Russia, Stati Uniti e Francia, co-presidenti del Gruppo OSCE di Minsk incaricato di risolvere il conflitto di lunga data che dura da più di tre decenni, hanno chiesto la fine immediata delle ostilità in Karabakh e la ripresa del dialogo senza alcuna condizione preliminare.

In precedenza nella notte, dopo 10 ore di trattative a Mosca, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che Armenia e Azerbaigian hanno concordato un cessate il fuoco in Nagorno-Karabakh, a partire dal 10 ottobre, per scambiare i prigionieri e i corpi dei caduti.


*Isis - lo Stato Islamico è un'organizzazione terroristica vietata in Russia e molti altri paesi

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