“Questo è solo l’ultimo conflitto destabilizzante pianificato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha soffiato sul fuoco della retorica armenofobica e nazionalista tipica del regime del presidente azero, Ilham Aliyev, il quale scioccamente ha dato il via agli scontri”. Lo dice a Sputnik Italia Giulio Centemero, deputato leghista, presidente dell'Intergruppo parlamentare Italia-Armenia, convinto che dietro la nuova escalation di violenze in Nagorno-Karabakh, l’enclave armena in territorio azero, autoproclamatasi indipendente nel 1991, dove a fine settembre sono ripresi gli scontri tra l’esercito di Erevan e quello di Baku, ci sia la Turchia.
— Perché accusa Ankara di aver fomentato questo nuovo conflitto?
— L’obiettivo di Erdogan è quello di destabilizzare il Mediterraneo ed il Caucaso e di riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti, impegnati nella campagna elettorale, e dall’Unione Europea, spesso troppo debole nelle sue posizioni, eccezion fatta per la Francia. La Turchia è in crisi nel panorama finanziario internazionale e ha bisogno di approvvigionamenti, lo dimostrano l’accordo con il governo di Al-Sarraj in Libia e lo scontro con la Grecia e Cipro. Erdogan sta assediando l’Europa conquistando spazi in luoghi dove noi dovremmo essere presenti: dal Caucaso, al Medio Oriente, dalla Somalia, alla Libia.
— Compreso l’Azerbaigian?
— La Turchia sta già intervenendo in questo conflitto, trasportando miliziani jihadisti nel Paese e fornendo assistenza militare all’esercito azero. Il rischio, se intervenissero altre potenze regionali, è quello di un’ulteriore escalation. Erevan non vuole assolutamente questo. Gli armeni di Aleppo sanno benissimo cosa significa una guerra per procura.
— Il ministero della Difesa di Baku, però, ha escluso la presenza di “mercenari” siriani denunciata da più parti, persino dal presidente francese Emmanuel Macron, da cui poi Aliev ha preteso le scuse...
— Negli ultimi anni l’Azerbaijan era riuscito a dare l’immagine di un Paese laico, stabile, prospero, e democratico. Con i bombardamenti su scuole, asili, teatri e chiese a Stephanakert e Shiushi, e con le immagini dei mercenari islamisti arrivati da Siria, Afghanistan e Pakistan, per combattere contro gli armeni, il regime di Ilam Aliev ha mostrato il suo volto brutale, distruggendo tutti i progressi fatti finora.
— Sta dicendo che il Paese potrebbe diventare un nuovo hub per i terroristi islamici?
— È possibile ma non probabile. Esiste una piccola presenza jihadista nella città di Sumqayit. Bisogna capire se quelli che stanno sostenendo l’esercito azero sono semplici mercenari che alla fine delle operazioni verranno spostati in altri teatri che interessano la Turchia, come la Somalia, la Libia o il “Kurdistan siriano”. Se invece rimanessero in Azerbaigian il rischio ci sarebbe.
— Di recente ha sollecitato un intervento del governo italiano per una soluzione diplomatica del conflitto…
—Ho chiesto di togliere l’Armenia dalla blacklist dei Paesi considerati a rischio Covid: si tratta di un Paese popolato da 3 milioni di persone e i casi laggiù sono veramente pochi. Avremmo potuto creare un corridoio con i parenti degli armeni residenti in Italia, che hanno bisogno di ricongiungersi mentre è in atto il conflitto. Invece c’è un’indifferenza che fa rabbrividire. L’Italia in questo momento è geopoliticamente inesistente, questo perché a livello di allineamenti internazionali il ministro degli Esteri ha una posizione, il premier ne ha un’altra e il ministro della Difesa, un’altra ancora.
— Cioè?
— La scusa per non intervenire è sempre la stessa e cioè che importiamo gas dal Caspio, ma la verità è che l’economia dell’Azerbaigian ha bisogno di noi molto più di quanto noi abbiamo bisogno di lei. E poi, i giacimenti del Caspio non sono sufficienti a rifornire l’Italia per i prossimi vent’anni: o si fa un ragionamento più serio o si rischia che i giacimenti russi vadano a servizio dell’altra parte del mondo, in Cina o in India.
— In queste ore si stanno discutendo i termini di un cessate il fuoco. Chi ne esce vincitore?
— Il cessate il fuoco sarà una vittoria di tutti e una vittoria della democrazia. Ma soprattutto sarà una sconfitta per Erdogan e Aliev. Il presidente azero dovrà fare i conti con i problemi interni al suo Paese che si possono tenere a bada solo fino ad un certo punto: la vicenda degli Assad in Siria ce l’ha insegnato. Alla popolazione azera interessa poco del Nagorno-Karabakh: Aliev non lo libererebbe da nessuno visto che ci vivono soltanto 150mila cittadini armeni. Già durante la prima guerra, trent’anni fa, diversi appartenenti a questa minoranza si erano lamentati del fatto che venivano mandati al fronte a combattere una guerra che non gli interessava fare. Al contrario per gli armeni di tutto il mondo questa regione montuosa è un po’ come Israele per gli ebrei: è lì, ad esempio, che è nato l’alfabeto armeno. Per loro il Nagorno-Karabakh è un simbolo e lo difenderanno fino alla fine.