Mai dire “Schwarzfahrer”, ovvero – quanto è grave la paranoia del politicamente corretto?

© Foto : Agnolo BronzinoVenere, Cupido e il Satiro - Agnolo Bronzino, XVI sec.
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Negli uffici pubblici di Berlino non si potrà più dire ‘Schwarzfahrer’ – ‘passeggero in nero’, si dovrà dire ‘passeggero senza un valido biglietto’, che in tedesco suona più o meno come un codice fiscale uzbeko. È solo l’ennesimo atto di una paranoia da ‘politcally correct’ che affligge l’Europa da alcuni anni. Ma quanto è grave questo virus?

Ma sì certo, bisogna educare gli impiegati ad una comunicazione più rispettosa delle diversità, quindi non si potrà più dire ‘migrante’ o ‘straniero’ ma ‘residente senza la cittadinanza tedesca’, non ‘richiedente asilo’ ma ‘persona abilitata a ricevere protezione’, tra ‘migrante’ e ‘persone con una storia internazionale’ meglio la seconda, magari aggiungere ‘come se fosse Antani’, andrà benissimo, meglio che non si capisca piuttosto che correre il rischio di offendere qualcuno o risvegliare l’atavico senso di colpa occidentale. E soprattutto, niente più parola ‘nero’ in qualsivoglia accezione possa apparire negativa. Quindi niente più ‘anschwärzen’, che significa mettere in cattiva luce (luce nera) e, ovviamente, ‘Schwarzfahrer’, passeggero in nero.

Ma questo non è che l’ennesimo atto di una lunghissima sequela di correzioni imposte in tutto il nostro Occidente in nome di un non meglio ideologicamente qualificato ‘politicamente corretto’ che rischia di portarci alla pazzia. Avevamo appena assistito all’introduzione dei premi ‘gender-neutral’ al Festival cinematografico, sempre a Berlino, tipo premio per attore 1 e attore 2, come per il genitore 1 e genitore 2, poi avevamo visto la gloriosa battaglia di civiltà contro i ‘dolci razzisti’, che era riuscita ad eliminare dagli scaffali in Svizzera il ‘Moretto’ perché offende le popolazioni di pelle scura, e dagli scaffali della Danimarca il cremino 'Eskimo', perché per qualche motivo offenderebbe gli inuit della Groenlandia. Avevamo anche visto cambiare il nome all’asteroide ‘Ultima Thule’, perché ricordava qualcosa di vagamente nazista, ora si chiama ‘Arrokoth’, che in lingua Powhatan significa ‘Cielo’. Tra parentesi i Powhatan erano un’antica tribù indiana sterminata completamente dai coloni bianchi nel XVII secolo, ma non si sa come, questo è stato trovato più rassicurante di Ultima Thule.

Pensate che in Italia stiamo messi meglio?

No, non stiamo messi meglio. Abbiamo avuto la Moretti che ha avuto l’idea, per niente ritenuta assurda da molti, di porre tendine scorrevoli per nascondere i simboli religiosi cristiani nei cimiteri per non turbare le cerimonie delle altre confessioni religiose, le polemiche per i gabinetti transgender, quelle per i presepi, i crocefissi, i bambolotti neri negli asili da inserire necessariamente per non lasciare troppa maggioranza ai bambolotti bianchi, le statue dei Musei Capitolini coperte perché doveva passare Rouhani e, adesso, notizia di pochi giorni fa, la Camera che approva la Convenzione di Faro, quella sul patrimonio artistico culturale, secondo la quale dovremmo oscurare parte del nostro patrimonio artistico per non offendere le culture altrui. In pratica rischiamo di dover oscurare le nudità di Michelangelo, esattamente come fece Daniele da Volterra, costretto dal Concilio di Trento a coprire le nudità nella Cappella Sistina e per questo passato alla Storia con il nomignolo ‘il Braghettone’. Era il 1565, anche allora la consideravano ‘modernità’ e dicevano di farlo per non offendere le sensibilità altrui. Per questa gente la modernità è questo – tornare al XVI secolo.

Ma la domanda è – chi si occupa di informazione e di tanto in tanto è chiamato a dare il proprio parere su certi fenomeni, osservando dall’esterno, non dovrebbe forse iniziare a preoccuparsi sul serio e provare a suonare un qualche allarme? Siamo sicuri che tutto ciò, invece che semplice e ingenua decadenza non nasconda piuttosto una vera e propria ideologia? Potenzialmente devastante per altro? Pensiamoci bene – niente distinzioni, niente razze, niente generi, niente culture differenti, niente nazioni, niente personalità, niente voci fuori dal coro, solo allineamento, appiattimento totale. Non è forse una forma di imperialismo? Non è questo il vero razzismo? Abbiamo tutti gli stessi diritti se siamo tutti uguali? O è forse vero l’esatto contrario – il vero diritto è quando sei libero di essere diverso, pensare diverso, avere una tua identità, cultura, sesso, appartenenza, e proprio per questo essere accettato e rispettato?

Guardate, parlo da immigrato io stesso. Nel Paese che mi ospita ci sono più di 150 nazionalità differenti, in tanti anni io stesso non sono mai stato discriminato, e non c’è mai stato bisogno di tante stronzate… e scusate se, quest’ultima anche, verrà considerata politicamente scorretta. Ma chi se ne frega.  

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