Ora che il presidente bielorusso, minacciato dalle proteste di piazza, tenta di tornare nel naturale alveo russo e chiede la protezione di Mosca l’Ue lo dipinge come un suddito del Cremlino.
Per l’Europa e l’Occidente i “dittatori” sono come il pane. Buoni e fragranti se accettano di farsi portare al loro tavolo. Secchi e da buttare quando il pranzo è finito. Così sta andando anche con Alexander Lukashenko.
Fuggita in Lituania dopo aver accusato Lukashenko di averla sconfitta grazie a brogli e scrutini manipolati Svetlana è diventata la nuova icona dell’opposizione. Un’icona rappresentata dai media europei come l’indomita Giovanna d’Arco di una rivolta capace di sottrarre la Bielorussia all’influenza russa. Una narrazione quanto meno discutibile se si analizzano i complessi retroscena dell’arresto di Serghey Tikhanovski.
La principale accusa rivolta al marito di Svetlana subito dopo il suo fermo era infatti quella d’essere un falso candidato manipolato da un oligarca vicino al Cremlino. Un’accusa subito corroborata dalla notizia del ritrovamento nel divano di casa di un milione di dollari provenienti da Mosca. Nello stesso periodo, come rivelato dal New York Times, i diplomatici di Minsk accreditati in Europa giustificavano l’arresto del candidato-blogger e di altri dissidenti con la necessità di fermare le interferenze di Mosca. Il tentativo di Lukashenko di prendere le distanze dal Cremlino e guadagnarsi se non i favori almeno l’indifferenza dell’Europa e dell’Occidente è confermato il 18 giugno dall’arresto di Viktor Babariko, l’ex direttore di una banca controllatata dal gruppo russo di Gazprom. Anche in questo caso la principale colpa di Babariko è quella d’essersi proposto come candidato dell’opposizione. Stavolta ad alludere ad un complotto di Mosca è lo stesso presidente. “Abbiamo fatto cadere le maschere delle marionette che stanno qua e quelle dei burattinai che stanno fuori da qua” - spiega Lukashenko in un discorso tenuto solo 24 ore dopo aver sbattuto in galera Babariko.