In Sicilia si trova oltre un terzo del totale dei beni immobili confiscati alla mafia sul territorio nazionale, non solo case, appartamenti, magazzini, ma anche terreni e aziende sottratte in via definitiva ai clan e destinate al riutilizzo per scopi sociali dalla legge Rognoni-La Torre.
In base ai dati dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla mafia, su un totale nazionale di quasi 34 mila la Sicilia possiede 6.362 gli immobili destinati e 6.270 quelli ancora in gestione, per un valore di 692.138.060 euro.
Tuttavia la maggior parte dei beni mobili e immobili non viene restituito alla collettività.

Com'è nata l'idea di mappare i beni confiscati
Il fine della campagna è quello di porre "principalmente un problema di consapevolezza politica – spiega Dario Pruiti di Arci Catania, – un problema visivo, plastico, dell'entità del fenomeno. E forse fotografando l'entità del fenomeno possiamo riaprire un dibattito molto serio su che cosa voglia dire".
"Abbiamo sentito prima di tutto - prosegue Pruiti- l'esigenza di capire cosa stesse accadendo, dove fossero fisicamente questi beni. Attorno alla questione dei beni confiscati sia mobili che immobili – c'è una nebulosa, e il rischio concreto è che l'orizzonte più alto disegnato dalla Rognoni-La Torre sia invalidato".
Il lavoro di mappatura riguarda, per il momento, solo la provincia di Catania. L'idea di Arci Sicilia è di estendere la mappatura a tutto il territorio regionale a cominciare da Palermo, dove si trova la maggior parte dei beni.



"La Sicilia è piena di beni confiscati – evidenzia Matteo Iannitti, dei Siciliani Giovani, che ha in gestione i Giardini di Scidà, uno dei pochi beni assegnato ad associazioni (36 su un totale di 792 sul territorio catanese), sottratto in via definitiva al clan dei Santapaola - Questi non sono divisi equamente: 8 province si dividono il 50% dei beni, perché poi solo su Palermo, abbiamo circa 3000 beni confiscati. Su Catania invece siamo attorno agli 800, quindi stiamo parlando di una quantità importante".
Le difficoltà nelle assegnazioni
I beni strappati ai boss mafiosi si mimetizzano in mezzo agli altri stabili, nelle strade del centro come delle periferia della città. Ci sono delle difficoltà oggettive nell'individuazione dei locali in cui precedentemente si organizzavano i summit dei boss e che adesso, molto spesso, si trovano in condizioni di degrado.
A pesare sulla difficoltà di individuazione e riutilizzo sono le procedure di assegnazione alle realtà che vorrebbero e potrebbero farne richiesta.
"Non esistono procedure standardizzate di assegnazione a livello nazionale. A fronte della presenza di un'agenzia nazionale dei beni confiscati, che dovrebbe di fatto gestire tutti i beni confiscati, a fronte di una miriade di beni sul territorio, di fatti non esistono delle pratiche che consentono alle singole associazioni un'assegnazione diretta, immediata, rapida", dice Pruiti.
A livello di enti locali invece, segnala Iannitti, l'assegnazione di un bene confiscato alla mafia, costituisce un problema di "consenso" nei quartieri popolari.
"Se un'associazione antimafia, arriva in un quartiere popolare e prende casa all'interno di un bene confiscato, diventa un problema per chi poi va lì a comprare i voti, per chi ha considerato quei quartieri abitati da carne da macello elettorale. Il problema vero quindi è: conviene avere una moltitudine di associazioni che all'interno di beni confiscati fanno attività sociali nei quartieri? Secondo me purtroppo, la risposta è no", osserva Matteo Iannitti.
Beni confiscati restano in possesso della mafia
"I beni confiscati che abbiamo sul territorio di Catania sono in totale abbandono, non solo quelli assegnati al comune sono abbandonati ma anche quelli affidati ad altri organi dello stato sono abbandonati", denuncia Iannitti.
Alcune situazioni sono davvero eclatanti, perché gli immobili non subendo alcun monitoraggio o controllo, tornano in possesso della criminalità che li riutilizza non solo per scopi abitativi.
Un altro caso eclatante è quello di uno stabile nel quartiere San Cristoforo di Catania, trasformato in un bar abusivo.
"Abbiamo fatto tutte le verifiche, anche con gli uffici comunali, gli uffici al commercio, tentando di capire se si trattava di una storia virtuosa di un bene confiscato che veniva riconvertito a bar, oppure di trattava di una storia meno legale. Effettivamente non solo quel bene confiscato era occupato abusivamente da non si sa chi, ma anche l'attività di bar che si svolgeva all'interno del bar era un'attività non registrata e completamente abusiva", prosegue.

Un vero e proprio "capovolgimento della realtà", commenta Iannitti, "che non solo rende irrilevante la confisca, ma produce un danno sociale enorme. La ratio della legge è quella di danneggiare la mafia, laddove ha il suo interesse maggiore, ovvero i soldi ovvero la proprietà, di trasformare i beni dei mafiosi in beni di cui potessero usufruire tutti, in beni utili alla società, in realtà noi siamo nel controsenso in cui il bene che prima apparteneva a una famiglia mafiosa era ben tenuto mentre adesso che è stato sequestrato si trova deturpato. Emerge non solo che la mafia ha vinto, ma che lo stato ha clamorosamente perso".