In realtà, la valanga di dollari immessi sul mercato non ha avuto nessun effetto negativo perché la loro domanda internazionale non è mai venuta meno in modo significativo. È pur vero che sia la Russia che la Cina hanno ridotto la quantità di bond americani in loro possesso ma, a tuttora, la maggior parte degli scambi tra Stati e tra privati di vari Paesi è regolata ancora tramite la valuta americana e i prezzi delle principali materie prime sono indicizzati (e pagati) in dollari statunitensi.
Lo SWIFT
Le compensazioni finanziarie intra-Stati e i bonifici di qualunque genere tra una banca e l’altra passano attraverso il meccanismo detto “SWIFT” (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) che, di fatto, è monopolizzato da banche a stelle e strisce o dalle banche loro corrispondenti. Ogni giorno, attraverso questo meccanismo passano in media 5 bilioni di dollari e gli scambisono controllabili da Washington sia per accertare che il denaro non serva ai gruppi terroristici, sia per portare allo scoperto transazioni giudicate illegittime poiché fatte con Paesi soggetti a sanzioni, siano esse decise dall’ONU o dagli stessi USA.Va inoltre aggiunto che la maggior parte dei Governi mondiali si affida proprio al dollaro come risorsa primaria da mantenere nelle proprie riserve finanziarie. La conseguenza è che i bond americani possono pagare interessi bassissimi e i cittadini americani possono continuare a spendere, indebitandosi senza che la loro moneta ne soffra. In altre parole, si potrebbe affermare che il cittadino americano medio stia vivendo a sbafo sulle spalle del resto del mondo.
Sarà sempre così?
Qualcosa potrebbe cambiare e forse ha già cominciato a farlo.
Nel 1960 l’economia americana rappresentava il 40% di tutta quella mondiale mentre oggi è scesa al 25% egran parte di questatrasformazione è da attribuirsi al sopraggiungere sulla scena del colosso cinese. La globalizzazione, voluta proprio dagli americani, ha favorito invece Pechino, soprattutto dopo la sua ammissione nella World Trade Organization (WTO). È l’ingresso in questa organizzazione che ha permesso ai cinesi di giocare ad armi quasi pari con i protagonisti dell’economia precedentemente dominanti. Uso l’avverbio “quasi” perché, in realtà, è proprio la Cina a godere di una posizione di vantaggio rispetto a tutti i concorrenti. Infatti, nonostante gli impegni assunti, Pechino è ancora lontana dall’adempiere a tutti gli obblighi cui sarebbe tenuta quali la rinuncia al dumping, la totale liberalizzazione degli investimenti stranieri e la sparizione di limiti non tariffari alle merci provenienti da fuori confine.
Nessuno può ancora affermare che l’epoca del dollaro sia finita ma molte sono le nubi che si affacciano all’orizzonte.
Oltre lo SWIFT
Le monete digitali
La seconda incognita sul ruolo del dollaro viene dalle monete digitali.
Finora, i Bitcoin o le pseudo-valute similari non hanno costituito un vero pericolo per le monete reali poiché si tratta di valute deboli, estremamente fluttuanti, vulnerabili ad attacchi cibernetici e senza un qualunque amministratore centrale che ne fosse responsabile. Il vero problema si sarebbe avuto con la comparsa di LIBRA, la moneta digitale annunciata da Marc Zuckerberg. Questa avrebbe potuto contato sui miliardi di utenti di Facebook e di WhatsApp come vettore e,inizialmente, l’idea era di basare il suo valore su un paniere di monete (USDollar, Sterlina Inglese, Euro e Yen giapponese). Tuttavia, la reazione negativa di molti Governi e la rinuncia a partecipare di MasterCard, Visa e PayPal hanno convinto i promotori a ripiegare sull’ipotesi di legare Libra a singole valute nazionali. Non si sa ancora cosa ne sarà ma, intanto, ciò ha sgonfiato contemporaneamente sia l’aspetto rivoluzionario dell’idea, sia la pericolosità verso la supremazia del dollaro. A tutt’oggi, seppur non definitivamente sepolto, quello di Zuckerberg resta ancora semplicemente un progetto.
Chi invece sta procedendo concretamente nella creazione di una nuova moneta digitale è la Cina. Nel 2014, la Banca Popolare Cinese aveva ricevuto il mandato di sviluppare un’ipotesi di moneta digitale “controllata dallo Stato” con l’intento di ottenere una totale autonomia finanziaria per Pechino e rafforzare la sua “influenza economica” nel mondo. Questo progetto ha fatto passi da gigante ed è attualmente sotto test in quattro grandi città cinesi. A differenza dei bitcoin e di LIBRA, questa valuta non sarebbe controllata da privati bensì proprio dalla Banca Centrale statale e utilizzerebbe tutti gli strumenti digitali necessari quali blockchain e una piattaforma di pagamento digitale garantiti e sorvegliati dalla Banca stessa. Sarebbe inoltre integrata con tutto il sistema bancario cinese e con le banche corrispondenti in altri Paesi. Gli strumenti per la sua diffusione sarebbero web-chain quali Alibaba, Alipay e WeChat. Poiché già l’ottanta percento degli utilizzatori di smartphone in Cina è abituato a fare pagamenti di qualunque genere attraverso il proprio telefono (nel 2018 il volume dei pagamenti digitali fatti in Cina ha toccato ben 41 bilioni di dollari), non è difficile immaginare la plausibilità della sua accoglienza presso i consumatori nazionali. Si prevede che la sua applicazione più estesa possa cominciare con l’inizio del prossimo anno.
Una nuova valuta dominante?
È ancora troppo presto per annunciare la fine della valuta americana ma, se la politica estera di Washington dovesse continuare nel suo attuale solipsismo e nel creare frizioni anche con i tradizionali alleati, la tentazione di emanciparsi da quella dipendenzanon potrà che avere sempre maggiore forza e diffusione.