Martedì 2 giugno l’ufficio del rappresentante commerciale degli USA a Washington (Ustr) ha formalmente avviato una indagine conoscitiva per capire se la web tax dell’Italia e di altri paesi europei è discriminatoria nei confronti delle imprese statunitensi.
Si tratta in realtà del rispolvero di un tema che con la pandemia era stato accantonato in un angolo del tavolo, ma già a gennaio gli USA avevano minacciato le nazioni europee che ci sarebbero state ritorsioni commerciali nei loro confronti se avessero applicato la web tax alle imprese statunitensi.
La web tax che praticamente vuole tutto il mondo, infatti, anche l’Indonesia, il Brasile, la Turchia la vogliono applicare contro le imprese del digitale che fanno alti fatturati nei rispettivi territori fiscali ma pagano poco o per nulla le tasse locali.
In Italia, scrive l’ufficio studi della Cgia di Mestre, i Big del web hanno pagato tutti insieme 64 milioni di tasse in Italia, ovvero 600 volte in meno rispetto a quanto versato dalle piccole imprese che pagano le tasse in Italia sull’intero fatturato.
Soluzione internazionale cercasi
Lo scorso mese di dicembre una iniziativa formale dello stesso tenore era stata avviata dall’ Ustr nei confronti della Francia, e l’esito fu che il paese europeo voleva applicare una tassazione discriminatoria nei confronti delle imprese web degli USA.
La Francia ha sospeso la web tax dopo un accordo raggiunto tra il segretario al Tesoro USA Steven Mnuchin e il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire. L’accordo rimanda a una concertazione internazionale di cui si deve occupare l’Ocse.
Anche l’Italia in verità ha sospeso l’applicazione della sua web tax, rassicurando gli USA che sarà rimandata al 2021 e subordinata ad un accordo da trovare a livello internazionale presso l’Ocse.
L’Ocse, infatti, ha allo studio una riforma della tassazione delle multinazionali che faccia pagare a queste ultime le tasse lì dove i suoi clienti hanno la residenza e non nel paese di provenienza della multinazionale.
Pressioni USA sull’Ocse
Secondo David Livingston di Eurasia Group, intervistato dalla Cnbc, gli USA starebbero facendo pressione sull’Ocse affinché la questione si chiuda a loro favore.